"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Dall'associazione "Pace per Gerusalemme" mi giunge questo appello che riprendo. Attraverso questa associazione il Trentino da molti anni ha avviato un'intensa attività di cooperazione con la comunità di Beit Jala (nei pressi di Betlemme), oggetto in questi mesi di una profonda lacerazione dovuta all'avanzamento del muro della vergogna.
(20 agosto 2015) L’appello del sindaco Nicola Khamis (in calce) ci segnala che stanno procedendo i lavori di costruzione del muro di segregazione presso la città di Beit Jala (Cisgiordania, Palestina), nella zona tra Bir Onah e Cremisan.
Il governo israeliano prosegue la sua opera di colonizzazione illegale del territorio palestinese destinato, secondo la risoluzione Onu del 1947, alla formazione di uno stato per la popolazione araba ivi residente.
Lo fa costruendo illegalmente colonie e strade, occupando terreni agricoli, sradicando alberi secolari, creando condizioni di vita sempre più difficili per il popolo palestinese, ostacolando l’accesso ai luoghi di lavoro e ai servizi sanitari ed educativi. Il muro, infatti, non corre lungo il confine tra lo Stato di Israele e la Cisgiordania, ma penetra profondamente all’interno di quest’ultima.
Quanto influirà la questione greca su Podemos e le speranze di cambiamento della sinistra spagnola? La sintonia tra Iglesias e Tsipras è stata una costante degli ultimi mesi, ma questa vicinanza può ora indebolire la “creatura” iberica nei due prossimi importanti appuntamenti elettorali autunnali? Intanto nei sondaggi è in leggero calo mentre cresce la fronda interna che chiede l’“unità a sinistra”. Un ragionamento sulla Spagna, tra conservazione e rinnovamento.
di Steven Forti *
(27 luglio 2015) Lo scorso 8 luglio al Parlamento europeo Pablo Iglesias è intervenuto affermando che “difendere oggi il popolo greco e il suo governo significa difendere la dignità dell’Europa”. Una frase che riassume bene la posizione di Podemos di questi ultimi sei mesi. Quel giorno Tsipras si trovava a Bruxelles: era la settimana di duri negoziati e di grandi speranze successiva alla vittoria del “No” nel referendum greco. La firma del “diktat” imposto da Schäuble e Merkel – con l’appoggio di Finlandia, paesi baltici e Slovacchia – il mattino del 13 luglio ha creato non poche difficoltà alla sinistra europea: c’è chi ha accusato Tsipras di tradimento, chi è rimasto senza parole e chi ha appoggiato comunque il premier greco, consapevole della complessità della situazione europea.
Le commemorazioni per il ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica si svolgeranno in una cittadina dove non vive più nessuno.
di Andrea Oskari Rossini *
(8 luglio 2015) “La linea era qui, a Zelenj Jadar. Questo era il check point dell'Unprofor, davanti c'erano i serbi e noi eravamo 20 metri più giù. Dritto arrivi alla Drina, a destra vai a Milići. Srebrenica è dietro di noi. Se questa linea saltava, i cetnici entravano in città.”
Percorro in macchina con Muhamed la strada fatta dall'esercito di Mladić nel luglio del '95. Quando a Srebrenica è arrivata la guerra, lui aveva meno di dieci anni. Il suo villaggio guarda il massiccio del Tara, e veniva bombardato direttamente dalla parte della Serbia, oltre il fiume. Ad ogni curva si ferma, e mi spiega cos'è successo in quel punto. “Là sopra è ancora tutto minato. Qui, a Kralja Voda, i paramilitari di Goran Zekić hanno incendiato tutto subito, nel '92. Si vedono ancora i resti del loro lavoro. Oltre la zona di separazione, a destra, ci sono le tombe dei soldati uccisi. Le trincee erano là sopra. La Serbia è là, un chilometro in linea d'aria.”
Sono passati vent'anni. Non sembrano così tanti, mentre Muhamed mi mostra i luoghi in cui ha vissuto da bambino. Un genocidio non finisce quando finiscono le uccisioni. Continua, con le domande che torturano i sopravvissuti e le ossa che continuano ad affiorare. “Vedi quell'altura? Da là è facile fermare i carri armati. Se blocchi il primo, hai chiuso la strada. Gli olandesi però, invece di difendere la città, ci hanno impedito di sparare. Sono stati complici nella caduta di Srebrenica, e nel genocidio.”
Entro il mese di settembre 2015 si svolgerà in Republika Srpska un referendum che assume un forte valore simbolico sull'integrità della Bosnia Erzegovina.
di Michele Nardelli
(17 luglio 2015) Su proposta del premier Milorad Dodik il Parlamento della Republika Srpska (una delle due entità della Bosnia Erzegovina) ha deciso con 45 voti favorevoli e 31 astensioni di andare al referendum nel prossimo mese di settembre sul potere della Corte Nazionale (la magistratura centrale della Bosnia Erzegovina) nel territorio della RS.
Non è ancora il referendum più volte richiesto da Dodik per l'indipendenza della RS, ma certamente questa consultazione popolare assume un forte valore simbolico, tanto è vero che ha scatenato una serie di dichiarazioni dai toni pesanti. Per Bakir Izetbegovic, rappresentante bosniaco musulmano all'interno della presidenza tripartita di Sarajevo, si tratta “dell'atto distruttivo più pericoloso dopo la firma degli accordi di pace di Dayton". Dodik ha risposto che “il referendum rappresenta un mezzo democratico per permettere al popolo della Repubblica Srpska di esprimere il proprio parere" e che “Bakir Izetbegovic rappresenta la minaccia più grande per la pace e la stabilità della Bosnia e della regione”.
La nostra Europa
Raffaello Cortina Editore, 2013
"Mai nella storia d'Europa le responsabilità del pensiero e della cultura sono state così tremende"
«Dall'Europa è partita l'era planetaria, allorché i popoli europei intrapresero nel 1492 la conquista delle Americhe e la circumnavigazione del globo. E l'era palentaria è stata a un tempo occidentalizzazione e mondializzazione. Ma oggi l'Europa si è ristretta. Non è più che un frammento dell'occidente, mentre quattro secoli fa era l'occidente a essere un frammento dell'Europa. Non è più al centro del mondo ed è stata confinata alla periferia della storia. E' diventata provinciale rispetto ai giganteschi protagonisti dell'età globale. E' diventata una provincia del mondo, sempre meno importante per peso demografico, forza militare, risorse energetiche e minerarie. Questa sua nuova condizione di provincia del mondo impone all'Europa di superare la sua attuale frammentazione in stati dotati singolarmente di una sovranità assoluta. L'Europa è obbligata a due conversioni, apparentemente contraddittorie, di fatto complementari: deve superare la nazione e deve riconoscere la propria condizione di provincia...»
(5 luglio 2015, ore 21.53) L'esito del referendum che emerge dallo spoglio dei voti in Grecia è ormai consolidato: il no vince con il 61%, un dato ben oltre ogni aspettativa. E' un'espressione forte di coraggio e di dignità che avrebbe meritato in piazza migliaia di bandiere dell'Europa, non della Grecia.
Lo storico Cardini: «Fondamentalismo coltivato dall’Occidente, l’Islam non è terrorismo». Una bella intervista di Erica Ferro sul Corriere del Trentino
(7 luglio 2015) «Davvero ignoriamo che la malapianta del fondamentalismo l’abbiamo innaffiata e coltivata per anni noi occidentali?». Franco Cardini, professore emerito di storia medievale all’Istituto italiano di scienze umane, se lo chiede sin dall’introduzione al suo ultimo volume «L’ipocrisia dell’Occidente. Il Califfo, il terrore e la storia», edito da Laterza.
Dietro lo scontro di civiltà, «volgarissima bugia», si nascondono, secondo lo studioso, interessi precisi, che poco o nulla hanno a che fare con la religione. «Il vero problema è la cattiva distribuzione della ricchezza, che crea l’impossibilità pratica della convivenza» sostiene. Lo storico ha presentato il suo saggio ieri sera a Vezzano con il giornalista del Corriere del Trentino e Corriere dell’Alto Adige Giancarlo Riccio.
di Erica Ferro, Corriere del Trentino
Professore, perché l’Occidente è ipocrita?
«Siamo abituati a circoscrivere l’Occidente non tanto descrivendone la sostanza, quantodelimitandone i confini e presentandone i nemici: se un tempo l’antagonista era il socialismo sovietico, oggi interlocutore avversario è considerato l’Islam. L’ipocrisia dell’Occidente, politicamente inteso, sta nel tentativo di far passare come assolute e metastoriche le ragioni di opposizione al fondamentalismo islamico, quando in realtà ne ha provocato la nascita».