"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
“Si sta vicini per fare miracoli
non per ripetere il mondo che già c’è.
Che già siamo”.
Franco Arminio
Come farlo? Conoscere. Coinvolgere. Connettere. Cooperare. Coprogettare. Costruire. Convivere.
Le città sono luoghi della biodiversità. In quest’ottica la partecipazione è chiave di lettura indispensabile per affrontare ogni tema. E’ il metodo – in prospettiva un’attitudine – per far sentire ognuno parte di un quadro più grande, di sintonizzare corpi e spirito, aspettative personali e visioni collettive.
E’ riformando e rafforzando le Circoscrizioni – non dimenticando le proposte fin qui emerse per armonizzare la vita di rioni e sobborghi – che vogliamo attivare le comunità e ricucire il tessuto sociale.
di Federico Zappini *
E' simbolico – e importante – tornare a parlare della dimensione territoriale dell'azione politica proprio nel momento in cui siamo vittime di regole che impongono il distanziamento, che ci impediscono di riunirci. "La politica è assembramento" ci ricorda Luigi Manconi. Senza la possibilità del confronto partiamo svantaggiati. Perso il valore dell'incontro ci troviamo disarmati, inermi, soli.
Non è un caso che della crisi della democrazia nella sua forma più prossima ai cittadini si discuta oggi nel momento in cui istituzioni e politica – a livello planetario – faticano a far fronte alla pandemia. Nei suoi impatti sanitari (spesso per i gravi errori commessi proprio nella gestione della medicina territoriale), socio-economici (dove la fragilità del modello neoliberista scarica le proprie esternalità negative sul tessuto sociale più fragile) e comunitari, dove al non riconoscimento reciproco si accompagna una crescente solitudine.
«Da Vaia al riscaldamento climatico, dall'invasione delle locuste alla pandemia mondiale, crisi scambiate per emergenze. Michele Nardelli e Diego Cason provano a darci un punto di vista più ampio, che comprenda tutte queste catastrofi in una sola visione e che ci induca alla necessità di ripensare il nostro modo di rapportarci con gli altri e con il pianeta».
Sabato prossimo 18 luglio, alle ore 18.00, presso la Sala Polivalente (ex Municipio) di Bondo, il circolo "Anna Pironi" del Partito Democratico propone la presentazione del libro "Il monito della ninfea" di Diego Cason e Michele Nardelli (Bertelli Editori).
All'incontro saranno presenti gli autori.
Si raccomanda di portare con sé la mascherina
di Alessandro Graziadei *
Le microplastiche minacciano sempre di più anche i laghi italiani e in questi contesti rappresentano un problema per l’ambiente, la biodiversità, la qualità delle acque, la salute della fauna e quella delle persone.
Dopo avere trovato microplastiche sul Ghiacciaio dei Forni, sui Pirenei e perfino nell’atmosfera, adesso si scopre che le microplastiche minacciano sempre di più anche i laghi italiani dove rappresentano un grave problema per l’ambiente, la biodiversità, la qualità delle acque, la salute della fauna e quella delle persone.
Secondo i dati raccolti in questi ultimi 3 anni da Goletta dei Laghi di Legambiente insieme all’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), nelle acque del lago di Garda in tre anni è aumentata in modo preoccupante la concentrazione media di micro particelle di plastica per km2 e “si è passati dalle 9.900 particelle del 2017 alle 131.619 particelle del 2019”. Ma il Garda non è il solo ad avere subito questa vera e propria “invasione” da microplastiche. I laghi Trasimeno e Bracciano, nonostante le differenti caratteristiche morfologiche ed ecosistemiche, sono nelle stesse condizioni del Garda, tanto che nelle acque del Trasimeno le particelle di plastica “da quasi 8.000 nel 2017 sono diventate 25.000 nel 2019 e nel lago di Bracciano da 117.288 particelle registrate nel 2017 si è passati alle 392.401 del 2019”.
di Federico Zappini
(5 luglio 2020) Da due anni gestisco una libreria. Due soci lavoratori, zero dipendenti. Non ci sono i margini per assumere qualcuno. Può essere che io sia una schiappa come imprenditore.
Siamo aperti il lunedì dalle 15 alle 20, da martedì a sabato dalle 10 alle 20. Aggiunto il lavoro preparatorio (leggere, progettare, curiosare), l’impegno nel quartiere e burocrazia varia le giornate si allungano. Credo valga per molti. Ho alzato le serrande di domenica una decina volte, in concomitanza del Natale. Non un aspetto determinante per la mia piccola attività.
Immagino che per supermercati, grande distribuzione (un discorso a parte, che andrà affrontato), ristoranti e bar la situazione sia diversa. E non la sottovaluto.
Trovo però la discussione sulle aperture domenicali e – di riflesso – sul concetto di città turistica fuorviante e non totalmente centrata.
di Roberto Pinter
(25 giugno 2020) Si sa che il mondo e la vita sono lastricate di buoni propositi, come quando dopo una sbornia ci si ripromette di non farlo più ma il proposito dura fino al sabato successivo. Non era però fuori luogo immaginarsi che la ripartenza dopo il lockdown potesse essere all'insegna di una diversa consapevolezza. Non dico di un mondo diverso, ma almeno con diverse priorità. Dalla riorganizzazione sanitaria alla cura dell'ambiente, dalle risorse per la scuola alla protezione sociale.
Invece si infilano i buoni propositi nei documenti programmatici e si continua ad immaginare che ci sia un solo modello di sviluppo, che l'importante è recuperare risorse per sostenere le imprese e far ripartire gli investimenti senza scegliere la direzione. Tant'è che si rischia di trattare tutti nello stesso modo, senza scegliere l'innovazione, una maggiore giustizia sociale e il contrasto al cambiamento climatico. Nemmeno il lavoro riceve la necessaria attenzione, lasciando che in nome della flessibilità ci siano solo marginalità e precariato.
di Alessandro Graziadei *
(4 giugno 2020) “La percezione dell’estrema vulnerabilità (e dei mezzi limitati per fronteggiare la potenza della natura) è probabilmente il più forte e duraturo lascito che Vaia ci ha messo sulle spalle. Una lezione, almeno per chi intende imparare”. Il libro di Diego Cason e Michele Nardelli “Il monito della ninfea” parte dalla tempesta che ha sconvolto le Dolomiti nel 2018 per parlarci della “cultura del limite” e lo fa con uno sguardo lungo che va ben oltre l’emergenza.
Nella sera e nella notte di lunedì 29 ottobre, in molti luoghi delle Dolomiti, a distruggere tutto è stata una tempesta che porta il nome di una signora tedesca: Vaia Jakobs. È lei che ha ricevuto la possibilità di dare il proprio nome alla bassa pressione che ha attraversato l’Europa nel 2018 e che l’Istituto Meteo dell’Università di Berlino vende dal 1950 per finanziarsi. Nonostante l’allerta meteo, pochi potevano immaginare che la signora Vaia Jakobs sarebbe stata ricordata per i venti tra i 120 e i 190 km/h e i rovesci da 700 millimetri di pioggia in 72 ore, che hanno investito 494 comuni, lasciando in eredità 8 morti (2 in Trentino) e più di 42.500 ettari di bosco schiantato (circa 8,6 milioni di metri cubi di legname). Al netto di altri disastri, visto che Vaia è stato un evento che ha inaugurato la “possibilità continua” di fenomeni tipici delle aree tropicali anche nelle Dolomiti, per rimettere tutto a posto forse non basteranno cent’anni. Solo in Trentino i danni causati da Vaia ad edifici privati e alle infrastrutture pubbliche sono stati quantificati in 360 milioni di euro, mentre altri 12 milioni e mezzo serviranno per ripristinare la viabilità forestale.