"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
... Scrive in questi giorni il meteorologo Federico Grazzini: «L'atmosfera è la stessa e la meteorologia non ha confini, ma si basa su processi fisici che si possono ripetere nei diversi luoghi in particolari condizioni. Da ognuna di queste tragedie dobbiamo imparare sia come adattarci ma più altro convincerci che è imperativo un cambio di passo sulla riduzione delle emissioni, subito».
Nessuno può dunque chiamarsi fuori. La coincidenza delle date sopra riportate ci parla in particolare del Mediterraneo, ma gli ecosistemi come sappiamo non sono mondi a parte e quel che avviene nel mare che ha reso temperate le nostre regioni si riverbera immediatamente sulle città, sulle pianure come sulle terre alte, tanto è vero che proprio in questi giorni lo zero termico sulle Alpi è a 4.000 metri sul livello del mare e gli eventi estremi si susseguono a ritmo inedito...
Collettivo di scrittura
Puy de Champanesio (CN), 5 - 8 settembre 2024
A quasi un anno dall'incontro di Marettimo, nel magnifico scenario di Puy de Champanesio, si è svolto nei primi giorni di settembre un nuovo incontro in presenza del Collettivo di scrittura nato intorno alla realizzazione e alle presentazioni del libro “Inverno liquido”.
La biodiversità delle terre alte alpine, i piccoli borghi abbandonati che stanno con fatica rinascendo, memoria materiale di saperi e di ingegno antichi, oggi coniugati con la sensibilità di conservare un patrimonio altrimenti destinato all'incuria e al degrado: questo sono Puy de Champanesio e gli altri insediamenti sui monti della Valle Varaita, in provincia di Cuneo.
Quindi un grande ringraziamento a Maurizio Dematteis per averci proposto questa scenografia, per la deliziosa ospitalità e per averci dato l'opportunità di incontrare tante belle persone impegnate nella rinascita di quei luoghi.
Sarà stata la magia del luogo o l'alchimia che talvolta si crea fra il pensiero e il vissuto delle persone, ma l'incontro del Collettivo di scrittura – malgrado la pioggia e le difficoltà di partecipazione – è stato molto proficuo. Tanto è vero che anche le persone che mano a mano ci hanno raggiunto (e che del Collettivo non conoscevano nemmeno l'esistenza), si connettevano con naturalezza alla nostra discussione, che ruotava nella mattinata del venerdì attorno ai temi dell'energia come bene comune e del futuro delle comunità delle terre alte e dei nuovi montanari.
"Un viaggio di ritorno, un libro scritto a metà, una comunità di pensiero" (26 giugno - 3 luglio 2024). Il racconto.
di Domenico Sartori
Emozioni e paure
Partiamo dalla fine. “La mia follia è rimanere qui”. Incontriamo Darko Cvijetic al motel Le Pont. Insieme al “condominio rosso” dove ancora abita è il suo rifugio quando ritorna a Prijedor, in quella parte di Bosnia Erzegovina chiamata Republika Srpska. Poeta, scrittore, drammaturgo, attore, Cvijetic ha appena pubblicato l’ultimo romanzo della trilogia aperta con L’ascensore di Prijedor (uscito in Italia con Bottega Errante Edizioni). Il protagonista è un criminale di guerra, che ritorna dopo venticinque anni di galera. “Il criminale è cambiato, tutto il resto è rimasto come prima”. E la comunità non può accettarlo: è uno specchio che ne riflette l’immagine. “Perché” dice il romanziere “il criminale di guerra è un potenziale che ognuno di noi ha dentro”. Michele sorride, ne parla spesso nelle sue riflessioni sulla guerra.
E’ il tema, enorme, dell'elaborazione del conflitto. Senza, le guerre non finiscono mai. Elaborare. Conoscere. Guardarsi dentro. E’ fatica, dolore. Qui sta la tragedia. Il passato che non passa. Lo scontro solo “congelato” dagli accordi di Dayton (fine 1995) che hanno fermato le granate e la guerra in Bosnia Erzegovina. Un equilibrio precario dentro la geopolitica globale, l'altra guerra mai risolta fra Serbia e Kosovo, quelle in Ucraina e in Palestina, l’Europa dove risorgono sovranismi, fascismi e nazionalismi, gli Usa a rischio guerra civile. Un “equilibrio” che pare stare bene a tutti i principali attori. Se non altro perché, dentro la tregua, il grande business nei Balcani continua: quello delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni, dell’energia e delle materie prime, dei traffici e del real estate. Ne è emblema la cementificazione del lungofiume di Savamala a Belgrado, voluta dall’attuale presidente della Repubblica, Aleksandar Vucic. Dalla fortezza di Kalemegdan, l’imponenza del gigantesco affare immobiliare, il progetto Belgrade Waterfront, taglia l’orizzonte: hotel di lusso, il più grande centro commerciale dei Balcani, 10 mila appartamenti riservati alle élite, 4 miliardi di euro di investimento, la Eagle Hills Company di Abu Dhabi protagonista.
La lettera che illustra le ragioni del viaggio
«Non ci si salva da soli. Occorre incrociare gli
sguardi, condividere le conoscenze, tessere le
trame di alleanze ampie e plurali, dando vita
a sempre più strutturate comunità di pensiero
e azione. Per essere interpreti di un cambio di
paradigma non più rimandabile. Per pensare
insieme il mondo a venire. Questo libro va
inteso come un numero zero, il primo passo
di un collettivo di scrittura attorno ai nodi del
passaggio epocale che stiamo attraversando».
Nel gennaio 2023 è uscito il libro di Maurizio Dematteis e Michele Nardelli “Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa” (Derive & Approdi, Roma, 300 pagine, 20 euro), lavoro arricchito dalla prefazione di Aldo Bonomi, editorialista del “Sole 24 ore”, e dalla postfazione di Vanda Bonardo, presidente di Cipra Italia e responsabile della Carovana dei ghiacciai di Legambiente.
«Noi palestinesi e amici della Palestina porgiamo la mano a tutti coloro che hanno detto no alla guerra e che hanno condannato il terrorismo in tutte le sue forme. In modo particolare la porgiamo ai cittadini israeliani (purtroppo ancora una minoranza) e a tutti gli ebrei nel mondo che non hanno concesso il loro nome ai criminali di guerra.
La carneficina in corso contro il popolo palestinese, la pulizia etnica antica e recente, la colonizzazione e le spedizioni terroristiche dei coloni contro la popolazione autoctona, come lo sradicamento degli alberi, la distruzione delle case e la confisca della terra, oltre ad abbattere ogni ponte di dialogo, ledono gravemente l'immagine e la storia di tutta una comunità e rilanciano di nuovo l’antisemitismo, che offende ogni popolazione di origine semita, quella ebraica come quella palestinese. E, nei fatti, rendono Israele il luogo meno sicuro per la popolazione ebraica e per tutti i suoi cittadini.
La battaglia per la libertà del popolo palestinese è la stessa battaglia per la libertà della popolazione ebraica e della nostra libertà.
Lo Stato può diventare una gabbia. Il nazionalismo è stato il cancro della modernità. La fratellanza è un vasto spazio di umanità libera.
Per questo non vogliamo rinunciare al sogno di un unico paese fondato sullo stato di diritto e sull'uguaglianza delle persone a prescindere dalla loro appartenenza e dal loro credo religioso. Siamo ancora in tempo. Iniziamo con il cessate il fuoco e poi cominciamo a guardare alla Mezzaluna fertile del Mediterraneo con altri occhi».
Ali Rashid, Aida Tuma (deputata del Knesset israeliano), Issam Makhluf (già deputato del Knesset, presidente del fronte democratico per la pace e eguaglianza in Israele), Mohammad Bakri (regista arabo israeliano), Renato Accorinti, Mario Agostinelli, Marta Anderle, Sergio Bellucci, Gianna Benucci, Gianfranco Bettin, Mario Boccia, Loris Campetti, padre Nandino Capovilla, Sergio Caserta, Beatrice Cioni, padre Fabio Corazzina, Fiammetta Cucurnia, Massimo De Marchi, Nicoletta Dentico, Tommaso Di Francesco, Stefano Disegni, Patrizio Esposito, Silvano Falocco, Rania Hammad, Adel Jabbar, Dina Ishneiwer, Raniero La Valle, Mimmo Lucano, Fiorella Mannoia, Serena Marcenò, Rino Messina, Emilio Molinari, Erica Mondini, Michele Nardelli, Mario Natangelo, Silvia Nejrotti, Azra Nuhefendic, Moni Ovadia, Maurizio Pallante, Nino Pascale, Dijana Pavlovic, Tonino Perna, Daniele Pulcini, Gianni Rocco, Michele Santoro, Stefano Semenzato, Vauro Senesi, Sergio Sinigaglia, Gianni Tamino.
Nel settembre scorso si è svolto un nuovo capitolo del “Viaggio nella solitudine della politica” che aveva come titolo “Dal Meriggio alla Mezzanotte”. Un viaggio ispirato al pensiero di Albert Camus, al quale avevamo reso omaggio lo scorso anno proprio a conclusione del precedente itinerario.
Avrei voluto scriverne a caldo, ma fra una cosa e l'altra non è stato possibile. In compenso le immagini e le sensazioni si sono sedimentate, così come il senso di questo nostro viaggiare. Lo spazio e il tempo per aiutarci a comprendere come cambia il mondo e come cambiano i nostri occhi.
Per stare al mondo in maniera curiosa e responsabile.
§§§
di Michele Nardelli
«Quale miglior paragone
alla speciale intelligenza di questo popolo,
del tremolar della marina?
Badate: i Greci sono colonizzatori. Sempre stati.
Ma colonizzano le spiagge:
in Asia minore, in Italia, a Marsiglia.
Non s'inoltrano.
Sanno che a perder di vista il mare,
si perde il tremolar della marina:
si perde l'intelligenza”»
Alberto Savinio
“Dal meriggio alla mezzanotte”. Era questo il titolo dell'ultimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” giunto così alla sua quattordicesima puntata1. Che ci ha portati ad attraversare il cuore prometeico dell'Europa, quegli imperi (tedesco e austroungarico) che costituirono l'ossatura del Terzo Reich e quelle terre che vennero segnate dal delirio di potenza che caratterizzò tragicamente il Novecento.
di Ali Rashid
(trentamila morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.
Vivo in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.
Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.
Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.
L'incontro inaugurale del Collettivo di scrittura nato attorno a “Inverno liquido”
(Marettimo, 5 – 8 ottobre 2023)
di Michele Nardelli
Le Dolomiti, nel mare
Marettimo è di una bellezza che ti avvolge ma soprattutto è un'isola vera, che non ti liscia il pelo. Una montagna di settecento metri di altitudine che esce dal mare, pareti dolomitiche che vi si rispecchiano e che si modellano con le maree disegnando una morfologia unica e spettacolare.
Non aspettatevi negozi o fronzoli per i turisti, qui non si viene per lo struscio o per ostentare vanità. Un'infinità di barche invece, eredità di quando questo luogo era abitato quasi esclusivamente da famiglie di pescatori. Ce ne sono ancora di pescatori, ma quei pochi che sono rimasti integrano questa attività con l'accompagnamento in barca di chi vuol visitare Marettimo nei suoi meandri altrimenti raggiungibili solo a piedi. Qui, del resto, di strade ce n'è una sola, che collega il borgo al cimitero. Il resto sono sentieri per chi ama camminare.
La più piccola e lontana isola delle Egadi nel corso degli ultimi cinquant'anni ha perso buona parte delle persone che l'abitavano. Sono rimasti in meno di duecento. Difficile viverci per l'intero arco dell'anno: una scuola elementare con un'unica pluriclasse di nemmeno dieci bambini, la scuola media chiusa da tempo. La stessa cosa si può dire per i servizi sanitari e così, quando qualcuno sta proprio male, non resta che chiamare l'elisoccorso.
Un momento dell'incontro di Marettimo al Museo del Mare
Dialogo attorno alla guerra in Ucraina fra Michele Nardelli e Francesco Prezzi: una sua ultima testimonianza sulle cose del mondo. Francesco ha vissuto questa ennesima tragedia dal letto di un ospedale e fino all'ultimo non ha mai smesso di ragionare sulla società, sul senso della Storia e sul valore del pensiero politico. Poi ha preso il volo.
(8 marzo 2022) Immersi nel Novecento. Questo siamo.
Lo sferragliare dei carri armati e il rumore sordo dei bombardamenti. I vecchi palazzoni sovietici sventrati e anneriti dal fuoco. Gli occhi impietriti di un'umanità costretta ad abbandonare le proprie case, a rifugiarsi negli spazi sotterranei delle metropolitane o ad ingrossare le fila del libro dell'esodo1. I miliziani nazionalisti, sempre più protagonisti delle nuove guerre, padroni delle strade e delle macerie. A prescindere dalle loro bandiere e da come andrà a finire, saranno loro a vincere.
E ancora. L'aria e l'acqua avvelenate, il sudiciume di ogni guerra. Le palizzate di eternit prese a calci, come ad essere senza futuro. La paranoia dei signori della guerra, sempre uguale. L'ipocrisia dei potenti che non hanno mai smesso di produrre e vendere armi. Sullo sfondo il riecheggiare del moto latino “vis pacem, para bellum”, che ha armato il pianeta tanto da poterlo distruggere.
Infine l'incubo nucleare, che da quelle parti conoscono bene e con il quale – malgrado la tragedia di Chernobyl – hanno continuato a convivere, quello delle centrali mai dismesse e in questi giorni sfiorate dalle cannonate, e quello delle testate atomiche allertate in un follia che vorrebbe reclutarci e che militarizza anche il confronto politico.
di Federico Zappini *
L’inchiesta giudiziaria che coinvolge amministratori, imprenditori e professionisti tra Trentino e Alto Adige ci impone una riflessione sulla fase storica che stiamo attraversando. Fin d'ora dobbiamo cogliere l’occasione per interrogarci sulla relazione ambigua tra potere politico e interessi economici. Un intreccio pericoloso, non nuovo purtroppo.
Ogni volta che un amministrator* è coinvolto in una vicenda di malaffare non è solo la sua figura a essere messa in discussione. E' la credibilità dell’intero sistema di gestione della cosa pubblica a subire un colpo, alimentando un sentimento di sfiducia che delegittima l'intero impianto della democrazia rappresentativa. I dati sull’affluenza alle urne sono lì a dimostrarlo, ma non sono i soli. Sempre meno cittadini credono che prendere parte al processo democratico faccia davvero la differenza, convincendosi anzi che quel campo sia irrimediabilmente impraticabile.
Tangentopoli – a inizi anni ’90, quando ero ancora meno che un adolescente – è stata in questo un punto di rottura decisivo. In quel frangente l'interesse economico non solo premeva su singole parti del mondo politico ma trovava sponda in ampia parte del sistema dei partiti, dentro una pratica strutturata di corruzione e collusione. Alla cosiddetta fine della Prima Repubblica non è seguita una fase di rigenerazione della proposta politica ma una sorta di stanca inerzia a cui abbiamo dato il nome "crisi della rappresentanza". Ce ne proviamo ad occupare da un po', con risultati alterni.
L'amico Mauro Ceruti, ordinario di Filosofia della scienza all'Università IULM di Milano e fra i pionieri dell'elaborazione del pensiero della complessità, mi invia questa breve ma intensa riflessione che voglio condividere con i lettori di questo blog.
Nel panorama attuale di crisi globali, Mauro Ceruti ci invita a riflettere sulla fragilità condivisa dell'umanità e sulla necessità di costruire un nuovo paradigma di fraternità universale. Dal rischio dell'autodistruzione nucleare al cambiamento climatico, fino al ruolo controverso della tecnologia, il filosofo esplora le possibilità di un futuro fondato sulla cultura dell'incontro e sull'ecologia integrale. Come possiamo trasformare le sfide globali in opportunità per una nuova coscienza planetaria.
venerdì, 20 dicembre 2024 ore 18:00
Care e cari,
abbiamo pensato di rivederci da remoto prima del concludersi del 2024, quale occasione per farci un piccolo augurio (visto come vanno le cose ne abbiamo un gran bisogno) e scambiare fra noi qualche parola sul senso del nostro Collettivo e fare il punto sui percorsi di scrittura che abbiamo intrapreso.
L'idea è quella di incontrarci venerdì 20 dicembre, alle ore 18.00, su skype. Qui il link per accedere all'incontro: https://join.skype.com/AwiJPNbuEiQa
Incontro da remoto
di Lucio Caracciolo *
Da venerdì scorso la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco
(2 dicembre 2024) Contatto. La ripresa in grande stile del conflitto di Siria connette i due epicentri che stanno ridisegnando i rapporti di forza nel mondo: l’ucraino e il mediorientale. Una sola guerra calda, ormai. Nella quale sono più o meno direttamente coinvolte tutte le potenze massime. Uno sguardo alla carta geografica rende l’idea del continuum che dalla pianura sarmatica via Mar Nero sfiorando il Caucaso penetra verso il Levante e la Penisola Arabica, per culminare nello Yemen controllato dagli Houti, chiave di volta dei passaggi fra il nostro mare e quelli cinesi. All’incrocio dei tre grandi imperi eurasiatici — russo, persiano e ottomano — in aggiornata competizione, coprotagonisti della partita fra Stati Uniti e Cina per l’egemonia planetaria, centrata sull’Indo-Pacifico.
Da venerdì scorso, quando una variegata miscela di milizie jihadiste e ribelli anti-Asad ha occupato Aleppo abbandonata dalle truppe di Damasco per puntare in velocità verso la capitale, la Siria è rientrata nell’equazione della “guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco. Il regime sembra in via di dissoluzione. Pareva così anche nei primi anni Dieci, quando fu investito dall’onda della “primavera araba”. Le prossime settimane permetteranno forse di stabilire se di coma si tratti, preludio della fine, o solo dell’ennesimo rimescolamento delle partite siriane e levantine. Nuova spartizione dei resti di Siria.
Nei giorni precedenti lo sciopero generale promosso da CGIL, UIL e Rappresentanze di base è stato dato scarso rilievo al documento promosso da un centinaio di esponenti CISL (fra i quali Sabino Pezzotta, già segretario naz.le della CISL, Gianni Italia e Adriano Serafino, già segretari nazionali della FIM, Gian Giacomo Migone, intellettuale di primo piano del movimento sindacale) di dissenso rispetto alla scelta della CISL di non promuovere con le altre sigle la mobilitazione del 29 novembre contro le politiche del governo Meloni.
Un documento che non riuscivo a trovare nella sua versione integrale fin quanto non ho aperto il blog “Sindacalmente” (www.sindacalmente.org), realizzato qualche anno fa da esponenti piemontesi della CISL (fra loro il compianto amico Alberto Tridente) e oggi coordinato da Adriano Serafino, che così si presenta:
"Il senso critico e il pluralismo sono lievito per la democrazia partecipata, per una cultura antagonista al dominio della finanza sull’economia reale, per perseguire un nuovo ordinamento economico. Per una società solidale, fondata sull’eguaglianza dei diritti mai disgiunti dai doveri, serve una democrazia partecipata a livello popolare, un sindacato che ridia “un volto e un’anima alle tessere”, una rappresentanza radicata e determinata a misurarsi con le innovazioni, una rete attiva di cittadinanza nel territorio e nelle periferie capace di dialogare e di dare risposte agli interrogativi di sguardi che già parlano, di percepire la realtà anche con gli occhi degli ultimi, dei tanti lavoratori invisibili e precari. Per essere protagonisti nelle scelte, non spettatori tifosi. Per nuove frontiere di solidarietà".
Un documento – quello firmato da 100 esponenti della CISL – che, a mio avviso e non solo, rappresenta un importante tentativo di rilancio dell'esperienza unitaria che in passato ha fatto grande il movimento sindacale e che avrebbe potuto dare un peso oltremodo signficativo alla mobilitazione del 29 novembre. Sul quale è caduta una cappa di silenzio e che, anche per questo, qui voglio riprendere integralmente.
Aleksandar Hemon
Il mondo e tutto ciò che contiene
Crocetti, 2023
Bejturan se uz ruzu savija,
vilu ljubi Derzelez Alija,
vilu ljubi svu noc na konaku,
po mjesecu i muntu oblaku *
Spesso parlo del Novecento come di un secolo non ancora elaborato. Non significa che non si siano spese parole, tutt'altro. E anche molte pagine straordinarie per comprenderne il messaggio, complesso e contraddittorio, che “il secolo dell'ambivalenza” ci ha consegnato. A che cosa mi riferisco, allora?
Penso alle pagine che ancora rimangono sospese sul piano dell'elaborazione collettiva, quel passato che incombe sul presente proprio per non aver scavato a fondo dentro verità ritenute sconvenienti e dolorose. Ma che il trascorrere del tempo (e ancor più la rimozione), infettano.
Non penso solo alle due guerre che devastano l'Europa e il Mediterraneo, entrambe esito di questa incapacità di fare i conti con la storia e del delirio nazionalistico che ancora pervade il presente.
di Ferdinando Cotugno *
(24 novembre 2024) È finita nella notte tra sabato e domenica, con reazioni furenti e senza lacrime di gioia, con un applauso quasi d'ufficio, timido, nel momento in cui il punto 11a dell'agenda CMA (la burocrazia COP un giorno meriterà un'analisi semiotica a parte) è stato approvato: il New Collective Quantified Goal sarà l'eredità principale di queste due assurde settimane a Baku.
Ne parliamo, in questo episodio di Areale di chiusura, e ne parleremo ancora. Ci accompagnerà per un decennio il colpo di martelletto di Babayev, seguito dalle reazioni indignate delle delegazioni di Cuba, India, Bolivia e Nigeria.
È stata probabilmente la conferenza sul clima più deprimente a cui io abbia partecipato. Il teatro del mondo che si svolge alle COP è stato assorbito e neutralizzato dall'angoscia e della sfiducia, dal cinismo di un paese ospitante che ci ha fatto rimpiangere gli Emirati (e ce ne voleva), dalla prospettiva di Trump e dagli ingombranti fantasmi che gravano sempre più sul negoziato: la Russia, l'Iran, l'Arabia Saudita, ancora più ingombranti del solito.
Spero di far cosa gradita nel riportare il mio intervento in occasione del convegno “Terre Alte e Restanza. Buone idee e buone pratiche – L’esempio di Ostana” (Carbonare, 12 ottobre 2024)
di Michele Nardelli
Sono felice di essere qui. In primo luogo per l'argomento che stiamo affrontando, che ritengo di particolare attualità. E poi perché queste sono state e vorrei che continuassero ad essere occasioni di incontro generative, come lo è stato il convegno che svolgemmo proprio il 12 ottobre di cinque anni fa a Nosellari. In quella occasione incontrai Maurizio Dematteis con il quale nacque in seguito un sodalizio germinato in un libro come “Inverno liquido”, un lavoro a più mani che ha ispirato a sua volta la nascita di un “Collettivo di scrittura” per dar vita ad una Collana editoriale attorno al tema cruciale dell'impatto delle crisi sugli ecosistemi. In un passaggio di tempo segnato dall'incertezza e spesso dallo smarrimento si delineano così linee di pensiero, sintonie di azione e reti di persone che ci aiutano ad essere meno soli nella crisi dei corpi intermedi.
Intervista allo storico Ilan Pappé (ebreo israeliano antisionista, uno dei principali "nuovi storici" che hanno rivisitato in chiave non-sionista la storia di Israele) pubblicata da Francesca Paci su "La Stampa" di ieri.
(2 ottobre 2024) Su Tel Aviv piomba la risposta degli ayatollah e il Medioriente si blinda, l'orizzonte prima della pioggia. Il commento dello storico israeliano Ilan Pappé, critico irriducibile del sionismo a cui è dedicato anche il suo ultimo libro “Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina” (Fazi), è lapidario: «Israele non avrà mai pace né sicurezza finché non metterà fine all'occupazione di milioni di palestinesi». Nessun cedimento alla memoria del 7 ottobre, all'alba del primo anniversario.
Pappé scuote la testa canuta: «La pulizia etnica iniziata nel '48 è la causa, la guerra la risposta». Chiusa lì, occhio per occhio.
L'invasione del Libano, i missili iraniani su Israele. Siamo già oltre il baratro? «Alla fine l'Iran dovrà trattenersi, non può affrontare una guerra regionale. In Israele invece la leadership politica è convinta che il potere militare sia l'unica strada, non considera alcuna soluzione diplomatica e vede il controllo dell'intera Palestina storica come l'unica chance di pacificare un Paese spaccato tra religiosi e laici. Per questo, come in Libano, Israele insisterà con la forza: non so se schiaccerà la terza intifada iniziata il 7 ottobre, ma non rimuoverà il vero ostacolo alla pace che non è Hezbollah né l'Iran bensì l'occupazione di milioni di palestinesi».
Nel libro racconta una società lacerata tra lo Stato d'Israele, che difende il proprio essere democratico, e lo Stato di Giudea, in odor di teocrazia. L'abbiamo vista nelle proteste del 2023 contro Netanyahu che però sta recuperando. Che Paese è oggi Israele?«Un anno dopo il 7 ottobre Israele è quel che era prima, un Paese fratto dove lo Stato di Giudea guadagna terreno. I più laici stanno facendo le valigie e quelli che restano si condannano al silenzio, perché rifiutano la teocrazia ma non hanno un piano per la Palestina. Israele è ormai guidato da una élite messianica che sogna di modellare il nuovo Medioriente con la complicità di un mondo sempre più a destra e in spregio delle Nazioni Unite».
di Federico Zappini
Il grande pregio del film/documentario di Andreas Pichler “Pericolosamente vicini” è la capacità di restituire coralità a un racconto – quello attorno alla presenza degli orsi in Trentino – che negli ultimi anni è proceduto per strappi e contrapposizioni durissime, sfibrando le comunità e rendendo il dibattito pubblico spesso molto faticoso, talvolta addirittura dannoso.
Non deve essere stato facile partire da un fatto di cronaca che ha segnato la storia recente di un’intera valle alpina (l’uccisione da parte di un’orsa di Andrea Papi, nei boschi di Caldes), esplorare con quanta più delicatezza possibile il dolore di una famiglia che ha perso improvvisamente un figlio, ascoltare senza utilizzare un filtro giudicante la rabbia di una comunità che percepisce un crescente senso di incertezza e da qui percorrere – a ritroso con la memoria e in avanti con l’immaginazione – l’evoluzione di un progetto che reintroducendo l’orso lì dove per mano dell’uomo si era di fatto estinto non descrive “solo” un ambizioso esperimento ecologico/faunistico ma interroga in profondità il modo del genere umano di stare in Natura, non più esercitando un presunto potere assoluto ma riconoscendo la propria fragilità e parzialità.
di Francesco Picciotto
Primo Levi racconta, con un distacco da chimico e con un linguaggio “nuovo” che è appannaggio solo dei grandi scrittori, la realtà del lager. Lo fa in molte delle sue opere tornando spesso all’idea che si sia trattato, al di là della consapevolezza di chi l’ha voluto e dei volonterosi carnefici che l’hanno progettato e gestito, del più grande esperimento sociale della storia. Privare l’uomo della propria umanità e di tutto ciò che fa dell’uomo un uomo: il sonno, la sicurezza, il riparo, l’acqua, il cibo, perfino il nome e i capelli, vuol dire spostare un intero pezzo di umanità ad un livello della piramide dei bisogni che nemmeno Maslow aveva immaginato. Al di sotto quindi della prima fascia, al di sotto dei bisogni primari, in un luogo in cui molti saranno i “sommersi”, pochissimi i “salvati”.
All’interno di questo spazio che l’esperimento sociale del lager crea ex novo, vigono regole perniciose e inaccettabili, a volte strettamente correlate al funzionamento del lager, altre apparentemente incomprensibili e arbitrarie ma anch’esse funzionali allo scopo di sbarrare, cancellare, erodere la seconda parola della coppia “essere umano”. Sono regole al quale “l’essere” deve rispondere senza che ad esso sia richiesta alcuna comprensione, adesione, espressione della più superficiale delle volontà.
(12 settembre 2024) Qualche giorno fa la comunità di Tezze Valsugana ha accompagnato Doriano Stefani nel suo ultimo viaggio. Tante persone, a testimonianza della gratitudine verso quanto Doriano ha donato alla sua gente insieme all'incredulità per come all'improvviso se ne è andato.
Con Doriano non ci vedevamo da chissà quanto, ma agli amici della Valsugana chiedevo spesso di lui e nelle occasioni di incontro in valle speravo di intravvederlo in un angolo remoto, schivo com'era quando lo conobbi nei primi anni '80.
Doriano era parte di quel gruppo di giovani di Tezze – un tempo passaggio di confine fra l'Impero asburgico e il Regno d'Italia, oggi ultima propaggine trentina prima di entrare in Veneto – che all'inizio del 1983 decisero di rompere l'isolamento di quel luogo così lontano dai palazzi della politica e ai limiti dell'emarginazione. Così la prima cosa da fare sarebbe stata quella di dare uno scossone anche sul piano dell'amministrazione locale.
Enzo Tiezzi
Tempi storici, tempi biologici
Con una nuova introduzione venticinque anni dopo
Donzelli editore, 2001
Mentre con lo schiudersi del nuovo millennio la scienza celebra i fasti di risultati fino a ieri semplicemente inimmaginabili, è nello stesso tempo davanti agli occhi di tutti una crisi radicale del nostro rapporto con la natura. …
La modernità di Tempi storici, tempi biologici sta proprio nell'aver intuito l'intreccio fra economia sostenibile e fisica evolutiva, tra valori etici e politica ambientale, tra estetica e scienza della complessità.
«I tempi che ci interessano sono quelli biologici, ma la rapidità con cui i parametri di oggi si muovono è di gran lunga superiore a prima. Le modificazioni naturali, che prima avevano tempi di millenni, oggi per il duro impatto delle moderne tecnologie possono avere tempi brevissimi»
di Federico Zappini
E' difficile avvicinarsi al tema autonomia differenziata senza farsi cogliere da un doppio pregiudizio. Il primo riguarda il Ministro Roberto Calderoli, già noto per aver nominato la legge elettorale da lui stesso ideata Porcellum. Nomen omen. Il secondo invece deriva dalla storia della Lega Nord, che affonda le sue radici in un progetto politico apertamente secessionista. In crisi l'opzione nazionalista di Matteo Salvini si torna alle origini, con il nord (il lombardo-veneto come ambito geografico di riferimento) a rivendicare il proprio primato sul resto del Paese. Prima noi, giusto?
Due pregiudizi non bastano però se si analizza la questione con gli occhi di un territorio autonomo come il Trentino-Alto Adige. Non si possono scrollare le spalle dicendo che la riforma non ci riguarda direttamente o che per preservare il nostro status sarà sufficiente occuparsi della cosiddetta clausola dell'intesa, oggi alle prese con le fibrillazioni della compagine di Governo, a Roma come nelle due giunte provinciali. Autonomia non può significare mai, per nessuno, disinteresse per ciò che ci circonda. Questo approccio, per così dire difensivo, rischia di perdere di vista le implicazioni più ampie e strutturali dell'impianto proposto dalla norma in oggetto che riguarda l’intero assetto dello Stato, colpendo nel vivo il suo già fragile equilibrio istituzionale e socio-economico.
Il testo che oggi pubblichiamo - tratto dalla rivista Jacobin - offre une una chiave di lettura interessante sulla questione della cosiddetta "autonomia differenziata" che incrocia due sguardi provenienti da altrettante aree ai "margini", la Sardegna e la Venezia Giulia.
di Danilo Lampis e Riccardo Laterza**
Il regionalismo differenziato del governo va fermato perché rafforza i poteri economici esistenti. Ma la campagna referendaria non va condotta a difesa dello Stato Nazione: bisogna riappropriarsi da sinistra dei concetti di autodeterminazione e autogoverno.
Scriviamo, mentre il referendum contro ha superato di slancio il mezzo milione di firme raccolte online, da due punti di vista segnati dai contesti in cui viviamo: la Sardegna e una terra di confine, il Litorale meglio conosciuto in Italia con il nome di Venezia Giulia.
Abbiamo sottoscritto il referendum per una ragione su tutte: il combinato disposto tra la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale generato sul territorio per il finanziamento dei servizi e delle funzioni di cui si chiede il trasferimento attraverso le intese, e la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. In sintesi, chi si è arricchito in questi decenni tratterrà maggiori risorse, chi è rimasto senza investimenti infrastrutturali e sui servizi, con una base produttiva debole e arretrata, resterà inchiodato alla sua condizione perché storicamente ha speso meno. In questo modo si cristallizzano sul piano legislativo le disuguaglianze territoriali sulle quali si è fondata e costruita nei decenni l’Italia unita, rafforzando il processo storico di addensamento di infrastrutture, capitale umano e sociale, capacità istituzionale, sistemi produttivi e reti di imprese nel cuore del Nord Italia. Un processo permesso dal centralismo statale e da dispositivi di colonialismo «interno» funzionali a uno sviluppo diseguale tra – pochi – centri e – molte e diverse – periferie, che hanno visto nella Sardegna sabauda un laboratorio anticipatore di ciò che in seguito sarebbe stato confermato con la «rivoluzione passiva» risorgimentale di gramsciana memoria.
Dopo la riflessione di Roberto Pinter sulla riforma Calderoli e la scelta referendaria, prosegue il confronto con l'intervento di Lorenzo Dellai.
di Lorenzo Dellai
Condivido pienamente le riflessioni di Roberto Pinter pubblicate sul quotidiano “Il T” nei giorni scorsi. Per come si sta sviluppando, la disfida sulla “Autonomia Differenziata” per le Regioni Ordinarie rappresenta uno dei segni più evidenti – certo non l’unico – del degrado della Politica italiana.
Il Governo di Destra (che si fonda in larga parte su una istanza nazionalista e statalista) ha fatto muro in Parlamento attorno ad una Legge che attua l’art. 116, terzo comma, della Costituzione. L’opposizione di Sinistra (che quella previsione costituzionale aveva voluto e votato, ancora nel 2001) raccoglie invece le firme per un Referendum popolare abrogativo di tale Legge, evocando lo spettro della “divisione” del Paese e della dissoluzione della sua “unità”.
Il Governo di Destra difende la sua proposta in forza di un patto interno fra le sue tre componenti attorno ai loro rispettivi “totem” (alla Lega l’Autonomia Differenziata; a Fratelli d’Italia il Premierato; a Forza Italia la riforma della Giustizia con la separazione delle carriere dei Magistrati). L’opposizione, dal canto suo, trova nella proposta referendaria abrogativa un terreno di intesa (tra i pochi) per il cosiddetto “campo largo”.
Si possono affrontare in questo modo le grandi e delicate questioni delle “Riforme” costituzionali ed istituzionali?
Prosegue il dibattito sulla riforma Calderoli e sul referendum contro l'autonomia differenziata. Oggi l'intervento di Roberto Pinter, pubblicato nei giorni scorsi dal quotidiano "Il T".
di Roberto Pinter
La legge Calderoli per l’Autonomia differenziata non è una buona legge, e anche se il primo passo è stato fatto con la riforma costituzionale voluta dal centrosinistra, nasce più per dividere che per cambiare, oggetto di compensazione rispetto al premierato e di difficile attuazione. E’ giusto provare ad affossarla con un’alleanza ampia che coglie l’occasione per mettere in difficoltà il governo Meloni.
In Trentino, più per partito preso che per convinzione, le destre difendono la legge Calderoli, e le sinistre sostengono il referendum abrogativo. Nessun dibattito, nessun confronto e così l’Autonomia speciale, a quanto pare, non ha nulla da dire o non vuol dire nulla rispetto alla riforma che comunque chiama in causa le Autonomie speciali.
Il problema non è il rischio immediato per la nostra Autonomia, ma quanto si sta registrando nel dibattito o meglio nello scontro in atto in Italia. Perché dalla opposizione al disegno di legge Calderoli si è ben presto passati all’opposizione all’Autonomia differenziata e oggi, a forza di semplificazioni, sono sempre di più gli slogan contro l’Autonomia punto e a capo.
Heimatpflegeverband - Südtirol/POLITiS
Heimat oder Destination Südtirol?
Tourismus in Maßen statt in Massen
Verlag Arca Edizioni, 2024
L'opera sarà disponibile nelle librerie dell'Alto Adige a partire dalla prossima settimana. In allegato potete trovare la scheda di presentazione e l’indice. Il testo è in tedesco con l'eccezione del capitolo 9 (di cui sono l'autore) che l'editore ha preferito venisse riportato nella sua versione originale in lingua italiana.
(30 agosto 2024) L'Associazione Patrimonio dell'Alto Adige – Heimatpflegeverband (HPV) ha presentato questa mattina al Waltherhaus di Bolzano un libro di particolare attualità che ha come titolo “Heimat oder Destination Südtirol?” (Casa o destinazione Alto Adige?). Come è facile comprendere il tema affrontato è quello dell'overtourism nell'ambito di una visione critica dell'industria turistica in Alto Adige/Südtirol.
Da anni ci sono avvertimenti sul sovraccarico turistico in questa realtà. I molteplici eccessi dell'overtourism sono costantemente un argomento nei media, le conseguenze negative per l'ambiente, il clima, il paesaggio e la qualità della vita investono sempre più le comunità locali.
Se un paese viene commercializzato solo come destinazione turistica, la qualità della vita della popolazione ne risente sotto diversi aspetti. Il turismo di massa di oggi minaccia anche le fondamenta di una regione turistica: il paesaggio culturale e naturale, la tranquillità, il valore ricreativo, l'ospitalità, la tanto invocata "autenticità". Una regione così abusata dai turisti può essere ancora casa? si chiede l'Associazione Patrimonio dell'Alto Adige in un comunicato stampa.
A fine luglio si è svolto a Dosoledo (BL) l'incontro di un folto gruppo di persone provenienti dal Trentino, dall'Alto Adige Südtirol, dal Friuli, dalla provincia di Belluno e da altre aree marginali del Veneto per riflettere sulla Regione che non c'è, la regione ecosistemica delle Dolomiti (https://www.michelenardelli.it/diario-di-bordo/2024/07/). Fra le varie questioni ci si è confrontati anche sul tema della riforma Calderoli e sulla proposta di referendum abrogativo che ne è seguita, proponendoci di avviare una discussione per uscire dalla dimensione propagandistica e manichea con cui si sta affrontando questo delicatissimo tema. Con l'intervento dell'amico Giorgio prende dunque il via la pubblicazione su questo blog di una serie di interventi intorno alla questione.
di Giorgio Cavallo*
Quale sia il progetto politico a breve-medio termine dell’attuale maggioranza politica che governa l’Italia appare evidente. L’approvazione della legge sulla autonomia differenziata spalanca le porte al più rapido possibile percorso parlamentare per la modifica costituzionale relativa al Premierato e quindi alla definitiva trasformazione della Repubblica. Il progetto Renziano di accentramento del potere governativo troverà così una ben più radicale soluzione e, con molte probabilità il corpo elettorale in un referendum avrà perso molti degli anticorpi di difesa democratica che hanno portato al risultato del 2016 e tutto sommato potrebbe non disdegnare di identificarsi nella semplificazione del “capo”. D’altronde è dagli anni 90 del secolo scorso che abbiamo imparato a votare il leader o la persona (Sindaco, Governatore, preferenza unica, collegi uninominali) e non una proposta politica o amministrativa.
Oggi la sinistra immagina la battaglia contro l’autonomia differenziata come il primo tempo di una partita che poi forse giocherà fino ai supplementari per poter difendere i valori base della democrazia e della Costituzione. Per fare questo però ritiene che il consenso popolare possa derivare da una accentuazione propagandistica dei limiti di una legge squilibrata e di fatto inattuabile, in contenuti e in procedure, attraverso la mitizzazione di conflitti (nord contro sud, ricchi contro poveri) e la riproposizione garantista della efficienza di un percorso di centralizzazione della amministrazione dello stato.
Rimbalza sui social l'opera realizzata dal canale di divulgazione culturale NovaLectio, che con una serie di interviste descrive le allarmanti condizioni sociali in un territorio alpino inascoltato, sofferente per lo spopolamento e la crisi dei servizi pubblici. Una provincia che per anni aveva tentato un dialogo (inascoltato) con il Trentino
di Zenone Sovilla*
Delle battaglie autonomistiche ultra decennali della vicina provincia dolomitica di Belluno l'Adige si è occupato spesso, fin dal primo referendum cosiddetto secessionista. Era il 2005 quando il Comune di Lamon, nell'area sudoccidentale del Bellunese, al confine con le aree trentine del Vanoi e del Tesino, fu l'apripista di una serie di votazioni, su base costituzionale, animate in particolare dal movimento Bard (Belluno autonoma Regione Dolomiti), allo scopo di portare finalmente al centro dell'attenzione del legislatore nazionale la questione di questo fazzoletto alpino pesantemente svuotato di strumenti istituzionali
Dopo Lamon seguirono decine di territori confinanti, specie con il Trentino, ma anche con l'Alto Adige, cioè dell'area bellunese impropriamente denominata "ladina storica", quasi a nobilitarla rispetto ai municipi vicini e appartenente alla medesima minoranza linguistica ma non già all'Impero asburgico.
Nella gran parte dei casi vinsero i sì all'addio alla matrigna Regione Veneto colonizzatrice; ma per ragioni alquanto oscure, l'unico via libera parlamentare fu ottenuto da Sappada, comune germanofono bellunese di nordest che nel 2017 passò al Friuli Venezia Giulia. Una regione, quest'ultima, che peraltro in materia di politiche per la montagna non si distingue gran che dal Veneto, entrambe prevalentemente di mare e di pianura.
Ci fu anche un comune, quello di San Pietro di Cadore, dove in municipio si fece presente l'impossibilità di indire il referendum, perché l'unico confine non bellunese è con l'Austria...
di Michele Nardelli
(17 luglio 2024) Non ho mai tenuto il conto dei viaggi balcanici, prima della guerra degli anni '90 e soprattutto successivamente, quando questa parte di Europa è diventata ai miei occhi – come uso dire – uno straordinario caleidoscopio sulla modernità. Ma di certo quello dal quale sono da poco rientrato, sul piano del confronto con gli interlocutori nelle nostre conversazioni come su quello emotivo, ha lasciato il segno. Per la deriva autoritaria che segna i paesi attraversati, per la devastazione sociale e l'assenza di futuro che induce chi ne ha la possibilità ad andarsene (ma non tutti), per il diffuso disincanto verso il progetto politico europeo, ma anche per le connessioni di pensiero che ne sono venute. E per il piacere di riabbracciare persone che non vedevo da tempo e avvertire la profondità delle relazioni costruite.
Ad accompagnarmi in questo viaggio ci sono stati Snjezana Djuricic e Domenico Sartori. Snjezana, oltre che raffinata interprete, attenta osservatrice delle cose del mondo, senza la quale questo viaggio non sarebbe stato possibile. Domenico, giornalista e amico con il quale abbiamo condiviso tratti importanti di lavoro sulla comunità trentina, pressoché nuovo (se escludiamo la sua partecipazione nel settembre 2003 al viaggio di Osservatorio Balcani che collegò attraverso il Danubio Vienna con Belgrado) in questa parte di Europa. Alla fine del nostro viaggio, nel suo quaderno di appunti non c'erano più pagine bianche.
Darko Cvijetic
L'ascensore di Prijedor
Bottega Errante Edizioni (2018)
Un condominio di mattoni rossi, inaugurato nel 1975 per ospitare 104 famiglie di tutte le fedi, di ogni provenienza e ceto sociale, un "villaggio verticale" abitato da un mosaico di persone che rispecchiano la Jugoslavia: un sogno di emancipazione alto 13 piani che si eleva al di sopra della cittadina di Prijedor.
Una comunità che si sgretola nel 1992, già nei primi giorni della guerra, quando gli aggressori entrano prepotetemente nel palazzo e ne devastano la struttura sociale, e i vicini di casa si trasformano in soldati e nemici.
Si è riaperta nei giorni scorsi la discussione sul futuro delle ex caserme austroungariche delle Viote, sul gruppo montuoso del Bondone in Trentino, per l'annunciata intenzione da parte della Provincia Autonoma di Trento di alienare questo importante patrimonio pubblico destinandolo ad un utilizzo alberghiero.
Qualcuno potrebbe affermare che considerato l'attuale stato di abbandono del nucleo principale delle vecchie caserme adibito a suo tempo a Centro di Ecologia Alpina e di degrado per la parte delle caserme che nel corso degli anni non ha conosciuto che minimi interventi conservativi, si potrebbe giustificare l'alienazione di questo patrimonio. Ma non ci si rende conto che in questo modo si darebbe il là ad un nuovo capitolo di una vecchia storia che per più di mezzo secolo ha visto questo straordinario ecosistema oggetto di mire speculative, dall'insana idea di fare delle Viote il Sestriere trentino (la città in quota) degli anni '50, alla cementificazione dei decenni successivi lungo il versante orientale rivolto verso la città, dal progetto di rilancio degli anni '80 e '90 ancora incentrato sull'effetto piazza e sull'industria dello sci, al Patto territoriale che con le nuove volumetrie ancora rilanciava il modello fallimentare degli anni precedenti. Fino ad arrivare alla più recente proposta di un nuovo grande impianto funiviario capace di collegare la città alla località Vason, come se questa e non un'idea radicalmente diversa fosse la soluzione per uscire da un fallimento pluridecennale.