"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Amianto, tragedia della modernità
materiale pubblicitario inizio secolo

di Michele Nardelli

 

(24 novembre 2014) Aver lavorato per un paio d'anni nell'elaborazione e nella gestione dell'iter legislativo fino all'approvazione della Legge Provinciale n.5/2012 “Il Trentino libero da amianto” mi ha fatto maturare una particolare sensibilità di fronte alla moderna tragedia rappresentata dall'inquinamento da “asbesto”, un minerale il cui nome viene dal latino asbestus e dal greco asbestos, ovvero “inestinguibile”. E' probabilmente questa l'origine del termine commerciale “Eternit”, la lega di cemento e amianto che all'inizio del Novecento rappresentava uno dei simboli della modernità. Le sue qualità e la sua economicità ne facilitarono la diffusione in ogni parte del mondo (insieme ad altri composti contenenti amianto, vedi allegato), tanto da diventare tragicamente “inestinguibile”.

 

Nel corso degli anni venne infatti provata la relazione fra l'aspirazione anche occasionale di particelle di fibra di amianto e l'insorgere di una delle più gravi patologie cancerogene, il mesotelioma (pleurico o, più raro, intestinale). Ciò nonostante la produzione e la commercializzazione di prodotti contenenti amianto è proseguita in gran parte del mondo, tranne nei 38 paesi (i 28 dell'Unione Europea e altri dieci stati) che l'hanno messa al bando e dove pure l'utilizzo quale eredità del passato è proseguito malgrado l'asserita nocività.

 

catalogo sull'uso dell'amianto

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Riconoscere la Palestina. Per fondare su altre basi un nuovo processo di pace.
Haifa

(16 ottobre 2014) Il Parlamento del Regno Unito vota a larga maggioranza la proposta del riconoscimento dello Stato di Palestina. Un'espressione dal forte valore politico, quand'anche non vincoli l'azione del Governo britannico. Qualche giorno fa era stato il Governo svedese a pronunciarsi per il suo riconoscimento, provvedimento che aveva un'immediata efficacia nelle relazioni diplomatiche fra i due paesi.

In questo modo i paesi che riconoscono lo Stato di Palestina sono 121, mentre altri 30 hanno un rapporto diplomatico con l'autorità nazionale palestinese pur non riconoscendo formalmente lo Stato di Palestina. Fra questi l'Italia. Per questa ragione ho aderito nei giorni scorsi ad una petizione con la quale si chiede al Governo italiano questo passaggio politico formale.

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Genova, non è la pioggia ad averla ridotta così...
Gustav Klimt

(13 ottobre 2014) Fra le città italiane, Genova è una di quelle che ho più di altre nel cuore. Per la sua storia intrecciata di naviganti e mediterraneo, per quanto ha saputo esprimere sul piano culturale, per la frequentazione che ho avuto della città della lanterna negli anni '80 e le amicizie che pure mi rammarico di non aver coltivato a dovere. Vederla quindi in questi giorni nuovamente piegata dal fango mi addolora.

No, non è la pioggia ad averla ridotta così. Certo, il cambiamento climatico in atto e la sua tropicalizzazione hanno il loro peso, qui come in tante altre parti di questo paese bello e fragile alle prese con un dissesto idrogeologico che l'attraversa di lungo in largo. Ma la fragilità, a Genova come altrove, è il prodotto dell'agire dissennato che in nome dello sviluppo e del profitto hanno cementificato il territorio, reso impermeabili i letti dei corsi d'acqua oltretutto preda dell'incuria, lasciato andare in malora il faticoso lavoro di ingegneria rurale ed urbana che erano i terrazzamenti e i muri a secco, fatto scempio delle antiche “crêuza de mä”1, le mulattiere di mare che portavano alla collina e delle quali ci ha raccontato Fabrizio De Andrè.

Un modello che da tempo ormai si mostra in tutta la sua insostenibilità e sul quale sarebbe bene che avvenisse una riflessione, magari cercando le strade per tornare sui nostri passi. Perché la responsabilità di quanto avviene in queste ore non lascia scampo: riguarda chi ha pianificato il territorio, chi ha fatto lobby per rendere edificabili aree fragilissime, chi ha deciso le cubature ammissibili, chi ha rilasciato le licenze, chi ha fatto le perizie avvallando quelle scelte, gli imprenditori che hanno speculato, la politica che ha lisciato il pelo agli interessi privati, chi doveva esercitare una funzione di controllo, chi non ha avuto il coraggio di tornare indietro.

No, non è solo la mancanza di piani di emergenza che pure hanno a che fare con la partecipazione e la coesione sociale, come l'esperienza della Protezione Civile trentina dimostra. Qui è necessario cambiare rotta, smetterla di associare il futuro alla crescita, lavorare sulla riqualificazione del territorio e delle aree urbanizzate (compreso il patrimonio edilizio), se necessario abbattere e ripristinare le situazioni precedenti. Un altro modo di pensare, rispetto al quale nessuno si può chiamare fuori. Altrimenti correremo dietro a sempre nuove emergenze e grida ipocrite, “rimuovendone l'essenza”.

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Per un'alleanza sull’acqua
Acqua, fonte di vita

di Emilio Molinari

L’obiettivo della ripubblicizzazione dei servizi idrici si è arenato in un vicolo cieco. A tre anni dal referendum solo Napoli ha trasformato il servizio da SPA in house ad azienda speciale.

I successi del movimento stanno: nell’aver fermato la Multiutility del Nord, respinto a Cremona il tentativo di far entrare i privati nella gestione in house, impedito ad ACEA di vendere altre quote, nello scorporo dell’acqua a Trento e si spera a Reggio Emilia e aperto in Toscana la discussione, sullo scorporo da Acea....

L’ostilità dei governi e l’attacco allo stesso referendum erano scontati. Ma ciò non spiega il perché del vicolo cieco in cui si è arenato il movimento.

Credo sia tempo di rivedere criticamente, non il contenuto della ripubblicizzazione in sé, ma la strategia con la quale è stato perseguito, improntata al rigido spartiacque della coerenza al vincolo quasi ideologico dell’eliminazione delle SPA in house. Prescindendo dalla lettura della realtà, dai rapporti di forza, dalla capacità di farsi capire dalla gente, dai limiti stessi presenti nel risultato referendario che, al di la della volontà degli elettori, di certo fermava l’obbligatorietà all’ingresso dei privati.

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Darsi il tempo per costruire un'altra agenda politica
Paul Klee

 

di Michele Nardelli e Federico Zappini

 

(5 dicembre 2014) 180 secondi sono un tempo brevissimo, eppure sufficiente per dire alcune cose. Dell'iniziativa proposta da Lorenzo Dellai (il prossimo 6 dicembre, a Trento) è facile elencare i possibili limiti. Questo esercizio lo praticheranno in molti, secondo un copione collaudato. Calata dall'alto, fuori tempo massimo, politicista. Con queste premesse sembrerebbe plausibile aspettarsi gli stessi risultati - non tutti esaltanti - degli ultimi esperimenti che hanno visto protagonista l'ex Presidente della Provincia di Trento. Ma è davvero questo il livello del dibattito al quale vogliamo partecipare e che siamo interessati a sostenere?

Sarebbe troppo semplice liquidare così l'appuntamento di sabato. Al netto della formula e persino del metodo (che mescola le nuove formule del marketing politico con le più classiche chiamate a raccolta dei partiti) ciò che andrebbe messo in risalto sono le motivazione che ne hanno fatto emergere - in Lorenzo Dellai, ma non solo... - l'esigenza.

 

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Il continuo posticipare il tempo dell’amore…
contro l\'omofobia

 

di Federico Zappini

“Per tutti, anche per i più fortunati, l’amore comincia necessariamente con una sconfitta.”
Hermann Hesse

(15 ottobre 2014) Forse dobbiamo prenderla proprio come scrive Hermann Hesse – come una sconfitta necessaria – ma la decisione della Giunta Provinciale di sospendere e posticipare la discussione a proposito della legge sull’omofobia è un brutto segnale.

Non tanto per l’allungamento dei tempi – si è atteso molto, non sarebbero questi mesi a fare la differenza – quanto per il come questa scelta si è realizzata. Si era di fronte alla possibilità di trovare la quadratura del cerchio, sulla base di un’interlocuzione tra cittadini e istituzioni (difficile, macchinosa eppure efficace) capace di portare a un passo dalla conclusione un processo iniziato da lontano, con una proposta di legge d’iniziativa popolare firmata da migliaia di persone.

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La Prima Guerra Mondiale continua ancora nel vicino Medioriente
Betlemme, inizio \'900

di Adel Jabbar

(29 settembre 2014) L’area del vicino oriente (comunamente e erroneamente chiamato medioriente) è stata uno degli scenari principali della Prima Grande Guerra. L’intervento dell’Impero Ottomano - che al tempo controllava quei territori a fianco dell’Impero Austro-ungarico e della Germania (gli Imperi centrali) - determinò enormi cambiamenti, ridisegnando nuovi asseti statuali e nuove aree di influenza.

All’interno dell’establishment ottomano c’erano tre orientamenti riguardanti la scelta che avrebbe dovuto prendere l’impero relativamente alla propria collocazione nella guerra: la neutralità, l’adesione allo schieramento delle Potenze Alleate (sostenuta da esponenti che avevano avuto esperienze di studio in Francia e Gran Bretagna). Entrambe le posizioni erano minoritarie mentre la maggioranza, che rappresentava la terza posizione, era propensa a far parte delle Potenze Centrali: di conseguenza l’Impero ottomano scelse di aderire a questo secondo schieramento.

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