di Steven Forti
(23 ottobre 2014) Dalla grande manifestazione della Diada, che lo scorso 11 settembre ha invaso pacificamente le strade di Barcellona, è passato poco più di un mese. Un mese intenso in cui molte cose sono successe. O almeno questa è stata l’apparenza. In realtà, se guardiamo il tutto da una certa distanza, ben poco è cambiato: il fondo della questione rimane lo stesso. E anche le posizioni di quelli che sono ormai, dichiaratamente e pubblicamente, i due “avversari”, il governo regionale catalano guidato da Artur Mas e il governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy, non sono cambiate affatto.
Da Edimburgo a Barcellona
Il 18 settembre si è votato in Scozia. Un referendum con una domanda secca – “La Scozia dovrebbe essere un Paese indipendente?” –, concordato con largo anticipo con il governo di Londra e convocato dallo stesso Cameron, in cui il no all’indipendenza ha vinto con il 55,3%. Pare che abbia pesato il voto delle persone maggiori di 65 anni e le offerte dell’ultimo minuto del governo di Londra di una maggiore autonomia per la Scozia. Il dibattito è stato acceso, ma in un certo qual senso esemplare. Come le decisioni del giorno dopo: Salmond si è dimesso ed è stato sostituito alla guida dello Scottish National Party dalla sua stretta collaboratrice, Nicola Sturgeon, mentre il governo di Londra ha aperto delle trattative con il governo di Edimburgo per ampliare l’autonomia scozzese. Come dice l’antico refrain, “chi vivrà, vedrà”.