"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Solidarietà internazionale: risorsa per l'autonomia
Melograno

L'editoriale apparso oggi sul quotidiano "Trentino" di Mauro Cereghini, da poco eletto presidente del Centro per la formazione alla solidarietà internazionale

 

di Mauro Cereghini *

 

(27 gennaio 2015) Interdipendenza è una parola che suona difficile, più adatta forse a un convegno che a una pagina di giornale. Eppure tutti noi siamo immersi nel tempo dell'interdipendenza. Basta guardarsi attorno per coglierne i segni: produrre e vendere qualsiasi bene, che siano frigoriferi, vino o cubetti di porfido, dipende ormai dai mercati globali. Le regole della finanza vincono su quelle dell’economia, e i luoghi delle decisioni si spostano in piazze azionarie distanti migliaia di chilometri. La comunicazione digitale permette a un turista giapponese di adottare una mucca sul Lagorai, come a un contadino ugandese di vendere i propri prodotti a chilometri di distanza senza dover camminare per ore. Perfino i cambiamenti climatici legano gli abitanti della terra ad un destino comune, con il riscaldamento globale che provoca tifoni e inondazioni in alcune aree mentre ne desertifica altre.

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I mercati finanziari, la Grecia e l'Europa
Atene

 

di Michele Nardelli

 

(19 gennaio 2015) Domenica prossima 25 gennaio la Grecia torna al voto dopo lo scioglimento anticipato del Parlamento. Le previsioni danno tutte nettamente in testa il partito Syriza, formazione della sinistra nata qualche anno fa nel contesto dei movimenti che hanno dato vita ai forum sulla globalizzazione e che ben presto ha fatto diventare ferri vecchi non solo i tradizionali partiti comunisti ma anche il Pasok, il partito socialista che nelle elezioni politiche del 2009 ancora poteva contare sul 43% dei suffragi.

 

Quello che è in seguito accaduto è storia recente: alla crisi finanziaria globale si è sommata l'esplosione del debito pubblico greco, portando questo paese (che, non va dimenticato, è al 29° posto nell'ISU, l'indice di sviluppo umano) sul baratro della bancarotta. La cura da cavallo imposta dalla BCE e dal FMI ha forse evitato il fallimento, ma con costi sociali disastrosi che hanno gravato sulla condizione di vita delle famiglie e dei settori sociali più vulnerabili. 

 

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Scontro di civiltà? Un suicidio
Paul Klee

di Michele Nardelli

(10 gennaio 2015) Se l'idea tragica dello “scontro di civiltà” cercava una potente veicolazione l'ha trovata nelle mani assassine che hanno fatto strage a Rue Nicolas Appert, nel cuore di Parigi.

In una delle rappresentazioni della solidarietà alle vittime del settimanale satirico Charlie Hebdo, le matite vengono stilizzate come altrettante torri gemelle ed in effetti l'impatto emotivo suscitato dall'azione terroristica ha raggiunto, almeno sul piano culturale, un effetto analogo a quello delle Twin Towers: “Siamo in guerra”.

I connotati di questa guerra appaiono – a chi la invoca – in tutta la loro nobiltà: sono in gioco i valori della libertà, della democrazia, del diritto di critica e di satira, della laicità... i valori occidentali nati dalla rivoluzione francese, per i quali si è lottato armi in pugno nella resistenza al nazifascismo. “Occorre reagire” – si dice – “non si può stare a guardare l'islamizzazione del mondo”, aggiungendo sottovoce ma non più di tanto “con il suo portato di oscurantismo”.

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Ma è la guerra la soluzione?
Matite

 

di Ugo Morelli

 

Di fronte ai terribili eventi francesi e alla distruttività del terrorismo, che ci riguardano direttamente, le reazioni, nella maggior parte dei casi, sono improntate alla esibizione di superiorità della nostra cultura che chiamiamo civiltà in modo unilaterale, e alla guerra come risposta. A parte la considerazione sull’inefficacia di ogni guerra organizzata per combattere il terrorismo, viene da chiedersi se non sia il caso di mettersi almeno in una certa misura in discussione e di assumere una posizione che non neghi il conflitto ma provi ad elaborarlo.

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Un'estrema fragilità
Intrecci

Quello che segue è l'editoriale di Simone Casalini pubblicato domenica 8 febbraio sul Corriere del Trentino

 

di Simone Casalini

 

(8 febbraio 2015) Quando le impalcature istituzionali vacillano e la rappresentanza del sociale si riduce, dando impulso alla diserzione politica, è quasi fisiologico assistere a una fase di disorientamento nella quale si affacciano proposte di ricomposizione a credibilità variabile. Non fa eccezione lo zibaldone della politica trentina che si destreggia tra antiche (contraddittorie) suggestioni e tentazioni solipsistiche perché, nel tempo delle leadership comunicative, l’idea di re taumaturghi su cui fondare la sintesi rimane una costante.

Occorre tuttavia prestare molta attenzione affinché le alchimie sperimentate in laboratorio possiedano un requisito essenziale: l’adesione del sociale. L’estetica della novità di per sé non basta se non produce culture durature e una motivazione elettorale, se non stimola l’impegno e la partecipazione a un orizzonte collettivo. Anche accettando che tali orizzonti possano essere oggi più ristretti rispetto al passato.

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La storia la scrivono i vincitori... Ma chi ha vinto nella guerra dei dieci anni?
Sarajevo, uno dei tanti cimiteri

Intorno alla condanna di Mladic e al suicidio di Praljak

(questa riflessione è stata pubblicata contemporaneamente anche su www.balcanicaucaso.org)

 

di Michele Nardelli

(5 dicembre 2017) Spenti i riflettori sulla condanna all'ergastolo di Ratko Mladic tutto sembrava riprendere a scorrere nella “normale” indifferenza con cui si guarda a questa parte d'Europa che ci ostiniamo a non considerare tale. E a non capire, alternando reazioni all'emergenza e superficialità.

Non è stato infatti diverso nemmeno in larga parte dei commenti sulla condanna di quello che un tempo era il capo militare dei serbo-bosniaci, immortalato sul banco degli imputati all'Aja nei panni di un vecchio livido di rancore che – giustamente – finirà i suoi anni dietro le sbarre. Commenti in genere improntati a descriverlo come l'incarnazione del male, il malvagio della carezza al bambino di Srebrenica prima della mattanza o, per altri versi, ad indicarlo come il primo combattente contro lo stato islamico in Europa. Commenti che hanno sottolineato che prima o poi i responsabili sono chiamati a pagare per i loro crimini, in virtù del fatto che la storia la scrivono i vincitori. Ma se non fosse così?

Il dubbio si insinua dopo la vicenda che all'Aja ha visto per protagonista Slobodan Praljak. Quest'ultimo era meno noto del suo collega di mattanze con il quale – pur su un altro fronte – aveva in comune il delirio nazionalistico (in questo caso la “grande Croazia”), l'odio verso i bosgnacchi musulmani (partì da lui l'ordine della distruzione del “vecchio”, il ponte di Mostar) e le pratiche esoteriche e i riti cavallereschi come fu la fedeltà nibelungica per il Terzo Reich (in fondo il richiamo ai popoli celesti o le apparizioni di Medjugorje non sono poi tanto diversi). Il suo gesto di fronte alla condanna1 è l'epilogo di un rituale che lo vorrebbe consacrare come martire ed eroe.

Resta però difficile pensare a Mladic o Praljak nella parte dei vincitori. Proviamo allora a seguire un racconto diverso, fuori dal coro. Partendo da una semplice domanda: chi ha vinto nella “guerra dei dieci anni”? Se guardassimo con un po' di attenzione quel che è accaduto in quegli anni e nel dopoguerra, tanto in Bosnia come altrove (nei Balcani e non solo), la risposta appare piuttosto chiara. Hanno vinto loro, i criminali. 

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Un 2015 capace di nuove visioni
Guardo gli asini che volano nel ciel
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