"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(3 novembre 2014) Dopo la sentenza della Corte d'assise d'appello che ha mandato assolti tutti gli imputati del processo sul caso di Stefano Cucchi, morto in carcere seguito dei maltrattamenti subiti dopo l'arresto, ci sentiamo tutti più vulnerabili. Per questo ho deciso di riprendere il servizio di Giovanni Bianconi apparso ieri sul Corriere della Sera.
di Giovanni Bianconi *
Domiciliari mancati e divieti alla famiglia. I militari dell'Arma scrissero che era nato in Albania ed era senza fissa dimora. La sentenza di assoluzione è il nuovo anello della catena di eventi relativi alla morte di Stefano Cucchi, non ancora l'ultimo.
Altri se ne aggiungeranno, con il ricorso in Cassazione e i nuovi sviluppi giudiziari. Per adesso la Corte d'assise d'appello ha ritenuto insufficienti le prove raccolte contro tre guardie carcerarie e tre infermieri (per la seconda volta) e sei medici (ribaltando il giudizio di primo grado), dopo un'indagine che forse poteva essere condotta diversamente e di un'impostazione dell'accusa cambiata più volte in corsa.
Tuttavia le cause della drammatica fine di quel giovane entrato vivo e uscito cadavere dalla prigione in cui era stato rinchiuso risalgono a comportamenti precedenti a quelli finiti sotto processo, responsabilità di strutture statali che non sono mai state giudicate. Fin dalla sera dell'arresto di Cucchi, 15 ottobre 2009. Lo sorpresero con qualche dose di erba e cocaina, lo accompagnarono in una caserma dei carabinieri e Stefano ha cominciato a morire lì, prima stazione di una via crucis dalla quale non s'è salvato.
Il professore: "Il premier agita bandiere ideologiche e di fatto allontana le due anime del Pd. Una scissione? Non la teme e forse, sotto sotto, la desidera"
di Sebastiano Messina (dal sito www.repubblica.it)
(28 ottobre 2014) «Non c’è nulla di casuale, nulla di improvvisato, nell’attacco di Matteo Renzi al posto fisso e all’articolo 18. Lui sta abbattendo i simboli della sinistra socialdemocratica per penetrare nel centrodestra con il progetto del Partito della Nazione. E’ un piano lucidissimo». Non è per niente stupito, Massimo Cacciari, della durezza dello scontro che si è acceso nel Pd.
Professor Cacciari, non è la prima volta che un presidente del Consiglio di sinistra dice che è finita l’epoca del posto fisso (lo disse D’Alema 15 anni fa). Eppure stavolta sembra diventato lo spartiacque tra le due anime del Pd, quella che si è radunata alla Leopolda e quella che è scesa in piazza con la Cgil. Perché?
«A volte il tono è tutto. Mentre gli altri dicevano queste cose con un tono di analisi, anche spietata, Renzi mi presenta un destino come se fosse un suo successo personale: ah che bello, finalmente è finita l’epoca del posto a tempo indeterminato! Ma come si fa a non comprendere il carico di ansia, di frustrazioni che una situazione di questo genere può determinare? Un politico non può fermarsi all’analisi: deve dirmi quali sono i rimedi. Deve dirmi quali ammortizzatori sociali ha previsto, e quali garanzie avranno i lavoratori senza più posto fisso per la loro pensione».
Oggi si vota in Brasile, Ucraina e Tunisia. Al di là del diverso peso specifico, con più di duecento milioni di abitanti il Brasile e poco più di dieci milioni la Tunisia, ne potrebbe venire una fotografia dell'orientamento politico e culturale di tre importanti aree geografiche in rapida trasformazione.
(26 ottobre 2014) Il Brasile è una delle potenze economiche emergenti, al settimo posto della graduatoria mondiale sul PIL a parità di potere d'acquisto e il suo indirizzo influenza in maniera significativa l'intera America Latina. La vittoria elettorale di Lula nel 2003 ha rappresentato una svolta epocale, anche se poi le aspettative sono andate in parte deluse. Lula del resto ha dovuto fare i conti con un Parlamento ostile, espressione di un paese dove la sinistra era minoranza e comunque non tanto diversa da quella che in altre latitudini non ha saputo essere interprete originale del nostro tempo. Difficoltà che si sono acuite con il cambio alla presidenza, laddove Dilma Rousseff non aveva certo lo stesso carisma del presidente operaio. Tanto che oggi, a conclusione del suo primo mandato, la sua rielezione è in bilico. Di certo, una sconfitta di Dilma avrebbe un effetto pesante per il Brasile e non solo.
Questo articolo è stato scritto da Zygmunt Bauman per la webzine europea Eutopia Magazine promossa da Laterza con altri editori europei, Telecom e la London School of Economics per l'inserto sul crollo del Muro di Berlino che comprenderà, tra gli altri, anche interventi di Ivan Krastev, Valerio Castronovo, Wolfgang Schuller e Gianni Riotta.
di Zygmunt Bauman
(8 novembre 2014) Sulle rovine del Muro di Berlino aleggia lo spettro di un mondo senza alternative. Non è la prima volta che uno spettro simile fa la sua comparsa: la novità fondamentale è che stavolta aleggia sul mondo intero. Nei secoli di sovranità territoriale e indipendenza che hanno fatto seguito alla Pace di Vestfalia, nel 1648, l'assenza di alternative (in sintonia con la formula cuius regio eius religio, dove la religio successivamente sarebbe stata rimpiazzata con la natio) era confinata allo spazio racchiuso nei confini di un singolo Stato; c'erano alternative in abbondanza nelle vaste distese che cominciavano dall'altro lato del confine, e lo scopo principale della sovranità territoriale era quello di impedire a queste alternative, per amore o per forza, di varcare quella linea. Il perforamento e lo smantellamento del Muro di Berlino hanno fuso gli spettri locali dell'assenza di alternative in un unico spettro mondiale.
La decapitazione del Parlamento
di Raniero La Valle
Pubblichiamo il testo dell’audizione di Raniero La Valle, presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione, presso la I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, il 20 ottobre 2014, in occasione dell’inizio del dibattito della Camera sulle riforme costituzionali
(21 ottobre 2014) Grazie al presidente Sisto e ai colleghi deputati per questo invito. Credo che la cosa più utile che io possa fare sia di farvi conoscere le reazioni alla riforma costituzionale che si sono manifestate in quell’ area di opinione del Paese che si riconosce o è in sintonia con le posizioni espresse dai Comitati Dossetti per la Costituzione di cui io sono il presidente eletto.
Dico, per i colleghi più giovani, che Giuseppe Dossetti è stato un grande costituente, uno dei principali ispiratori della Costituzione e di molti suoi articoli. Per lui la Costituzione non era semplicemente una legge per così dire rinforzata, era un patto non solo politico ma morale tra i cittadini e lo Stato, tra il popolo e le istituzioni; la Costituzione era un bene comune ed era così importante per lui che la mise perfino sopra la sua successiva scelta di vita monastica, tanto che quando la Costituzione fu in pericolo scese dal suo eremo per tornare nella città, nella politica, per difenderla; e ai giovani a cui cercava di insegnare la vita cristiana disse un giorno che se avessero fatto cilecca con i dieci comandamenti, sarebbe già stato molto se fossero rimasti fedeli ai valori della Costituzione.
«Ora non possiamo proporlo, ma sarei favorevole all'abolizione delle Regioni a statuto speciale». Lo ha detto il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, al tavolo di discussione cui ha partecipato alla Leopolda di Firenze. Sollecitata dalle persone che hanno affollato la discussione, Boschi ha precisato: «Se proponessimo adesso l'abolizione delle Regioni a statuto speciale, rischieremmo di non portare a casa il risultato e di incorrere nell'errore degli ultimi 30 anni, cioè che per cercare di avere la riforma ideale non portiamo a casa niente». «Abbiamo messo mano a tante cose - ha detto ancora Boschi - il progetto è ambizioso e ci vede tutti insieme. Per fortuna, l'esperienza della democrazia italiana non finisce qui. Portiamo a casa questo risultato».
Fin qui la nota di agenzia. Che dire? Rimango allibito, senza parole... Mi limito a prendere atto che questo non è il mio governo. E che se non si costruisce rapidamente una diversa prospettiva politica, come andiamo dicendo da tempo, territoriale ed europea, siamo degli irresponsabili.
(21 ottobre 2014) Presenti al proprio tempo. Ho usato queste parole, nel dicembre scorso, a conclusione della mia esperienza, bella e stimolante, alla presidenza del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Descrivendo così il tratto distintivo di un percorso nel quale ho – ma è più giusto dire abbiamo – cercato di far uscire la pace dalla retorica banalizzante in cui da tempo si è cacciata.
Un lavoro impervio. Non solo perché oggi la guerra continua ad essere il modo normale con cui si regolano i conflitti, ma anche perché il pacifismo si è arenato nei propri rituali, incapace di rompere gli steccati della propria autoreferenzialità.
Ci abbiamo provato, non so con quale esito. Certamente testimoniando che c'è un modo diverso di declinare la parola "pace", indagando la guerra fin dentro la banalità del male. Una strada originale che ha avuto il merito di intercettare le grandi questioni del nostro tempo, dallo “scontro di civiltà”, al cruciale tema del “limite”, all'elaborazione del Novecento nel centenario del “secolo degli assassini”. "Perturbare la pace" abbiamo detto, riprendendo la straordinaria suggestione di James Hillman.
Ora, nel vedere riproposta la marcia per la pace Perugia Assisi con il suo stanco rituale di parole d'ordine che nella loro astrattezza divengono retorica, provo una distanza crescente. Dietro la festa delle bandiere arcobaleno c'è a guardar bene un vuoto profondo, tanto nell'incapacità di tentare risposte alle aree di crisi in grado di condizionare l'agenda dei governi, come nel dotarsi di una agenda propria per sottrarsi alle continue emergenze e costruire – nel pensiero come nell'agire quotidiano – una consapevolezza ed un sentire diffuso. Per non parlare delle miserie umane che pervadono anche questi luoghi, quasi un tabù per i chierici della pace.
Penso che la pace richieda quello stesso cambio di pensiero di cui ha bisogno l'umanità per immaginare un futuro diverso dalla guerra di tutti contro tutti che la limitatezza delle risorse e l'indisponibilità a rivedere i propri stili di vita pongono in essere. E penso che il mondo della pace non abbia bisogno di anestetici per sentirsi meno solo.