"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(7 settembre 2014) Il Corriere del Trentino di oggi dedica un'intera pagina alla LP 13/2009 sulle filiere corte. E' stata la mia prima legge, approvata nel corso della XIV legislatura, ma che ancora - nonostante l'approvazione del piano attuativo - deve trovare piena applicazione. Grazie al Corriere che ha la sensibilità di andare a vedere come i provvedimenti legislativi approvati vengono seguiti dalla nuova Giunta. Riporto qui di seguito una breve nota che il Corriere mi ha chiesto sull'argomento.
La Legge Provinciale n.13 del 3 novembre 2009 è sicuramente il più importante provvedimento sull'agricoltura approvato nel corso della XIV legislatura provinciale. Sarebbe però sbagliato pensare la LP 13 come una legge di settore. Si tratta infatti di un provvedimento multidisciplinare che investe – oltre all'agricoltura – l'economia, l'industria agroalimentare, il commercio, il turismo, la sanità, l'ambiente, la scuola e la formazione professionale.
Dalla cacciata di ebrei e musulmani dalla Spagna, nel 1492, all'editto di Blagaj in Bosnia sino alla distruzione della Biblioteca nazionale di Sarajevo nel 1992. Le radici plurime dell'Europa e la barbarie in questo approfondimento
di Michele Nardelli
Quel che accadde il giorno prima, il 2 agosto, non trova talvolta nemmeno menzione nei libri di testo. Eppure anche in quella circostanza la storia prese una piega drammaticamente diversa. Perché la decisione di Isabella e Ferdinando di cacciare gli ebrei e i musulmani dalla Spagna rappresentò la fine di una delle più interessanti vicende di intreccio culturale che il vecchio continente avesse mai conosciuto: il califfato di al-Andalus e l’esperienza delle città-stato che ne era seguita.
Il tutto era iniziato nel 755 dC con l’arrivo nella penisola iberica di Abd al-Rahman, erede della dinastia degli Omayyadi, che unificò le popolazioni arabe già presenti nella parte meridionale della Spagna e costituì quella straordinaria esperienza di tolleranza nella quale convissero pacificamente e per più di sette secoli musulmani, ebrei e cristiani. E alla quale dobbiamo la traduzione di Aristotele e di Platone, le nuove frontiere della conoscenza scientifica, la poetica delle canzoni d’amore… e dell’altro ancora.
Ritorno nei Balcani, racconto di viaggio. Quarta puntata
(Agosto 2014) Anche quando non piove, l'acqua è un elemento che accompagna costantemente il viaggiatore balcanico, in particolare in Bosnia Erzegovina. Non c'è strada che non proceda lungo un corso d'acqua, un fiume o un lago che sia.
Ad accompagnarci lungo la prima parte del nostro itinerario era il mare Adriatico, affaticato dalle orde dell'uomo senza qualità, ma pur sempre ricco di fascino. Lasciatoci alle spalle il mare con i suoi inespugnabili arcipelaghi un tempo incubo dei veneziani, ripercorriamo a ritroso il corso della Neretva (uno dei tre fiumi della vecchia Jugoslavia che sfociano nell'Adriatico), il fiume che rappresenta l'anima di Mostar.
Prima ancora però di raggiungere la splendida capitale dell'Erzegovina, assistiamo a quella sorta di miracolo della natura che è la sorgente della Buna1, la cui portata alla fonte è considerata la più imponente d'Europa. Siamo alle porte di Mostar. Quando d'estate il sole picchia sulle brulle montagne riverberandosi sulla città, l'acqua fredda della Neretva ha l'effetto di creare un particolare microclima lungo le terrazze che l'acqua ha scavato in prossimità del ponte, rendendo il soggiorno particolarmente gradevole.
Mentre guardo attonito le immagini che provengono da Gaza mi vengono in mente le parole con le quali Walter Benjamin descriveva il proprio tempo.
«C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta».
Ritorno nei Balcani. Terza puntata
(Agosto 2014) «Il secolo appena finito è iniziato a Sarajevo e nello stesso luogo si conclude, ma le diverse prospettive (politica, sociale, ideologica, antropologica, storica) in cui ci si è posti per osservare e analizzare gli eventi balcanici si sono spesso rivelate parziali e insufficienti, e pochi si sono accorti del fatto che nelle opere di Ivo Andrić, premio Nobel per la letteratura 1961, si possono trovare chiavi di lettura estremamente acute e puntuali. Nessun altro autore, infatti, ha percepito, e mostrato, con tanta forza il “brulichio” delle genti balcaniche, le loro interferenze etniche e religiose, i meticciati che forse solo in questa parte d'Europa hanno raggiunto una tale intensità. Nessun altro ha percepito, e mostrato, con tanta precisione le sofferenze di questi popoli, nessuno ha saputo osservare con tanta attenzione e raffinatezza questi luoghi, i Balcani, che – per usare le parole di Churchill – “producono più storia di quanta ne possono consumare”, e appaiono a un tempo come “la polveriera d'Europa” e come “la culla della cultura europea”»1.
Le parole dell'amico Predrag Matvejević, scritte per la nota introduttiva all'edizione dei “Romanzi e racconti” di Ivo Andrić, ci aiutano a comprendere non solo il valore di un autore dimenticato ma anche la superficialità con cui l'Europa ha guardato a quanto accadeva nel suo cuore balcanico lungo lo scorrere del Novecento fino alla tragedia degli anni '90.
A Sarajevo, il Ponte latino e la Vjesnica (l'edificio austroungarico che nel 1992 ospitava la biblioteca nazionale) distano fra loro non più di cinquecento metri. Percorrendoli a piedi, meno di dieci minuti, dovremmo avere consapevolezza di quanto essi siano stati cruciali nel XX secolo, ma non sempre è così.
Ricorre oggi, 25 luglio, il trentaquattresimo anniversario della morte di Vladimir Semënovič Vysotskij (Volodja), poeta, cantante, attore russo che negli anni '70 divenne uno dei simboli del libero pensiero in Unione Sovietica. Il suo cammino si concluse a Mosca il 25 luglio 1980. Nel 1993 gli venne assegnato il Premio Tenco e nell'occasione venne registrato un album tributo intitolato Il volo di Volodja ad opera di numerosi cantautori italiani facenti capo al Club Tenco. Nel disco compare anche come ultima traccia la canzone Ochota na volkov, cantata dallo stesso Vysotskij. In omaggio a questa figura di intellettuale e poeta libero vi propongo questo video accompagnato da uno dei capolavori di Vysotskij, "Il bagno alla bianca" interpretata da Cristiano De Andrè.
http://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=SXCdZ-HF2t8
Riscaldatemi bene la sauna
perché un bagno alla bianca farò
proprio qui, sulla panca, tra un attimo,
la mia anima stanca cadrà.
Proprio qui, nel calore più languido
il vapore mi infiammerà
brucerò nella brace i miei scrupoli
la mia voce si scioglierà.
Proprio qui, sul mio segno indelebile,
l’acqua gelida io verserò
il tatuaggio del capo infallibile
si farà sul mio petto più blu.
(24 luglio 2014) Ho scritto, abbiamo scritto. Ho parlato, talvolta gridato. Ho manifestato, in tanti l'abbiamo fatto. Dell'ingiustizia, dell'indignazione, della rabbia.
Ho cercato di capire, provando a mettermi in ciascuna delle parti. Sono passato per “traditore”, concetto che ho espunto dal mio vocabolario. Nella rappresentazione del conflitto fra il bene e il male viene meno infatti la necessità della compromissione.
Ho affermato che le armi non avrebbero portato da nessuna parte, utili solo al prevalere del più forte. Passando per anima bella.
Ho cercato di costruire relazioni, dando alla cooperazione il significato di non perdere le tracce di una storia così profondamente radicata nell'ulivo e nella vite. Ho visto l'esercito israeliano tagliare ulivi millenari per cancellarla.
Ho provato a dire in tempi ormai remoti che il concetto di “due popoli, due stati” rappresentava una sconfitta culturale e che una delle componenti della tragedia era proprio l'affermarsi di stati et(n)ici. E che occorreva cambiare l'approccio, provando ad immaginare soluzioni che andassero oltre i paradigmi di un tempo che fatichiamo a metterci alle spalle...
Ciò che vedo in queste ore è esattamente l'opposto di quel che ho auspicato nel corso di una vita. Per questo rimango attonito, senza parole.