"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Editoriali

Geografia degli affari e trasversalità politiche
Grandi opere... incompiute

Tempi interessanti (12)

 

Ma il nodo vero è: "quale modello di sviluppo?"

 

(21 marzo 2015) Nell'inchiesta della Procura di Firenze sulle Grandi Opere emerge un nuovo inquietante capitolo della corruzione nel “sistema” Italia. La fotografia per essere più nitida dovrebbe in realtà comprendere anche l'iniziativa giudiziaria sul Mose di Venezia, le inchieste su “Expo 2015”, le inchieste sulla penetrazione della 'ndrangheta al nord ed in particolare nel controllo degli appalti in Emilia Romagna e in Lombardia, la vicenda di “Mafia Capitale”, lo scandalo della corruzione attorno alla ricostruzione delle aree terremotate, i crimini perpetrati nelle “Terre dei fuochi”... Emerge così una vera e propria geografia del crimine nel quale l'intreccio fra affari, crimine organizzato e pubblica amministrazione diviene sistemico.

 

Genocidio armeno, la necessità di fare i conti con la storia
genocidio armeno

di Michele Nardelli

(14 aprile 2015) Decine di conferenze, incontri, interventi scritti: ho ripetuto fin quasi alla noia che le celebrazioni per il centenario dell'inizio della prima guerra mondiale avrebbero potuto diventare l'occasione per elaborare le tragedie del secolo breve, affinché l'elaborazione di ciò che è accaduto nel Novecento ci mettesse al riparo dal ripetersi di quegli orrori.

Così non è stato e probabilmente non sarà. Non ci predisponiamo ad imparare, questo è il problema. Il nostro sguardo distratto sorvola, preferisce non fare i conti con il dolore della storia, nemmeno quella a noi più vicina. Oppure dar credito ai luoghi comuni, al sentito dire, alle fanfare che ci raccontano quel che vogliamo sentirci dire. In realtà non siamo mai stati così ignoranti.

Appello a sostegno di OBC
Bergamo, conferenza internazionale di BC

 

Care lettrici e cari lettori di questo blog,

se ne parla da mesi ormai, ma fin qui mi ero astenuto - concordemente con la direttrice di OBC - dal dar voce all'ipotesi di ridimensionamento di Osservatorio Balcani Caucaso, una delle più importanti e qualificate esperienze di informazione e di ricerca presenti in Trentino. Un po' perché ho sperato che la politica potesse avere un soprassalto di dignità di fronte ad una delle eccellenze (passatemi il termine) di questa terra e della sua capacità di aprirsi all'Europa. E poi perché temevo identificazioni che non esistono, quand'anche io sia uno degli ideatori - nell'ormai lontano 1999 - di Osservatorio.

 

In quindici anni di lavoro OBC è diventato un punto di riferimento internazionale di primissimo ordine, riconosciuto per la sua capacità di raccontare questa parte d'Europa con sensibilità, equilibrio, intelligenza. Potrei narrare un sacco di episodi per descrivere l'apprezzamento di cui gode OBC. Come ad esempio quando, in occasione di una mia visita all'ambasciata italiana di Sarajevo, l'allora ambasciatore Alessandro Fallavollita mi disse che la consultazione del sito di Osservatorio era per lui l'inizio della sua giornata di lavoro.

 

Il Trentino dovrebbe considerarlo un vanto, un investimento ben riuscito nell'ambito di un approccio non emergenziale verso la pace, i diritti umani, la cooperazione, la cittadinanza europea, lo sviluppo di relazioni. Specie in un tempo dove proprio le relazioni internazionali diventano un tratto decisiviso nella capacità di un territorio di abitare il cambiamento globale e l'interdipendenza. Speriamo che questa consapevolezza orienti le scelte delle istituzioni trentine (ma anche nazionali ed europee).

 

Quello che segue è l'appello rivolto al Presidente della PAT e all'Assessore competente, che ha già raccolto oltre quattromila adesioni. E che, qualora non lo aveste già fatto, vi invito a firmare.

 

Parliamo di noi, di quel che siamo
Il Mediterraneo nel tempo del Sabir

E' il tema dell'attraversamento il centro dell'intervento di Michele Nardelli in occasione della presentazione, venerdì scorso, a Trieste della rete di Terra Madre Balcani e dei viaggi del turismo responsabile nell'Europa di mezzo. Parole che invocano un cambio di pensiero, anche di fronte alle ormai quotidiane tragedie del mare.

di Michele Nardelli

Di che cosa stiamo parlando? Parliamo di Europa, anzi del cuore dell'Europa. E dunque di noi.

C'è un passaggio particolare che mi ha colpito nell'ultimo libro di Paolo Rumiz “Come cavalli che dormono in piedi”. Scrive Rumiz: «...Vado in treno, naturalmente, perché il viaggio è sogno, e io covo una nostalgia insana del vecchio Orient Express e del train de nuit Lubiana-Mosca dal samovar fumante in fondo al corridoio. Parto per maledire lo squallore dell'oggi, perché persino durante la Guerra fredda andare ad est era più facile e la rete di ferro tagliava fiumi foreste e montagne meglio che in questi tempi ipocriti in cui, nonostante i proclami, c'è meno Europa di cento anni fa».

Sì, meno Europa di cent'anni fa. Perché nonostante le istituzioni, le regole, la velocità nelle comunicazioni, nella cultura (o semplicemente nel sentire) delle persone siamo ancora immersi nel delirio degli stati nazione.

Il mantra delle riforme
I soliti ignoti

 

Tempi interessanti (11)

 

(10 marzo 2015) «Il paese ha bisogno delle riforme e non ci fermeremo». Sembra essere questo il mantra della compagine governativa che da poco più di un anno governa l'Italia. E di fronte alle critiche che pure vengono anche o soprattutto dal fronte interno, si risponde che gli orientamenti sono stati discussi e approvati nelle sedi partito e che un comportamento diverso nel voto in Parlamento equivarrebbe ad una rottura del vincolo politico fondato sul criterio di maggioranza. Rimuovendo il fatto che il programma con il quale si è andati al voto nel 2013 era quello di Pierluigi Bersani e che la nascita del governo Renzi è avvenuta attraverso la formazione di una maggioranza anomala rispetto alle alleanze con cui ci si rivolse agli elettori.

 

Israele, la scelta della guerra
Ulivi tagliati

 

di Michele Nardelli

 

(18 marzo 2015) Alla fine, invece, a prevalere è stata la paura. Il richiamo all'aggressività e alla negazione dell'altro che, fin nelle ultime ore della campagna elettorale ed anche durante il voto, hanno condizionato l'orientamento di questo popolo che non sa (e non vuole) uscire dal proprio incubo, portando alla vittoria del Likud. Come se, di questo incubo, ne avvertisse il bisogno per sopravvivere. “L'adrenalina è una droga” mi spiegava qualche anno fa un'insegnante israeliana di Sderot, non lontano da Gaza.

 

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Apparenza e realtà
Daniele Danh, oltre le apparenze

Tempi interessanti (10)

 

Nella società dell'immagine, dove tutto si gioca alla velocità della luce, realtà ed apparenza si confondono fino a non saper più distinguere il falso dal vero. Accade così che in un recente sondaggio alla domanda "Sentite di avere un maggiore controllo sul vostro futuro finanziario?" il 44% degli italiani intervistati (un campione di due mila persone) abbia risposto positivamente, qualche punto in più rispetto alla precedente rilevazione. Sufficiente per far dire ai media (e alla politica interessata ad incassare consenso) che l'Italia sta volgendo al meglio. E questo nonostante gran parte dei dati reali indichino livelli record di disoccupazione (il 12,7%, mai così alta dal 1977), il 43,9% di giovani senza lavoro, una crescita produttiva pari a zero, ampie fasce sociali a rischio di impoverimento. Strani effetti mediatici, ma nel comune sentire c'è aria di ripresa.