"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
(9 novembre 2014) Nella notte del 9 novembre 1989 la mitica Trabant attraversava il muro. Diventò il simbolo della fine di una storia. Nessuno se l'aspettava, almeno in forme così rapide e sconvolgenti. Eppure eravamo lì. No, non eravamo a Berlino in quella notte fra il 9 e il 10 novembre 1989 in cui tutto cambiò, ma eravamo sul pezzo, non rincorrevamo gli avvenimenti. Noi eravamo quegli avvenimenti.
Proprio in quelle ore, nelle sale del Centro S.Chiara di Trento, avevamo convocato quello che già nelle nostre intenzioni doveva essere l'ultimo congresso di DP del Trentino. Non era un passaggio qualsiasi, ne avevamo la consapevolezza. Ma non si trattava del colpo di testa di qualcuno, era l'esito di un'elaborazione collettiva e di un confronto maturati nel tempo, quand'anche furono in molti a non condividere quella scelta. Demmo vita a Solidarietà, era il 12 novembre 1989, una domenica d'autunno. Era l'avvio di una sperimentazione originale che negli anni a seguire contribuì a fare di questa nostra terra una positiva anomalia politica.
L'esito delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti; il tema del lavoro non richiede una ripresa impossibile ma un cambio di prospettiva; il paradosso di un presidente di turno che non vuole andare in Europa con il cappello in mano. Una seconda puntata di "tempi interessanti".
Barack Obama saprà far volare un'anatra zoppa?
"Anatra zoppa". Così titolano i network dopo l'esito delle elezioni di medio termine che hanno assegnato ai repubblicani la maggioranza in entrambi i rami del Parlamento degli Stati Uniti. Che cosa accadrà dopo questo voto? Torneranno i tempi dell'interventismo militare americano nel mondo? Verranno cancellate le pur moderate politiche di welfare introdotte dalla presidenza Obama?
Forse sarà “la maledizione di vivere in tempi interessanti” come amava dire Hannah Arendt, ma non trovo parole più efficaci per descrivere quel che avviene intorno a noi. Una guerra mondiale non dichiarata, un ruolo sempre più invasivo della criminalità organizzatala, demolizione sistematica dello stato di diritto e delle istituzioni, l'onda lunga della cultura plebiscitaria, il Partito della Nazione.
«La maledizione di vivere in tempi interessanti». Terza puntata
Vedo in giro un forte smarrimento. E' in primo luogo sociale. Le immagini che ci arrivano dai quartieri di Roma o di Milano ci raccontano che la guerra è già iniziata, anche qui. In forme diverse da quelle che stiamo conoscendo in altre parti del pianeta, ma in fondo poi non più di tanto. Ad esplodere sono i punti di contatto fra inclusione ed esclusione, non solo perché i responsabili di questa situazione sono troppo lontani dal disagio. Quanto piuttosto in ragione del fatto che le culture che hanno vinto, nell'inclusione come nell'esclusione, sono molto simili fra loro. Il modello sociale e culturale che è prevalso alla fine del Novecento è quello basato sul consumo e sul dominio che questo richiede, non sull'egualitarismo.
di Michele Nardelli e Federico Zappini
(5 dicembre 2014) 180 secondi sono un tempo brevissimo, eppure sufficiente per dire alcune cose. Dell'iniziativa proposta da Lorenzo Dellai (il prossimo 6 dicembre, a Trento) è facile elencare i possibili limiti. Questo esercizio lo praticheranno in molti, secondo un copione collaudato. Calata dall'alto, fuori tempo massimo, politicista. Con queste premesse sembrerebbe plausibile aspettarsi gli stessi risultati - non tutti esaltanti - degli ultimi esperimenti che hanno visto protagonista l'ex Presidente della Provincia di Trento. Ma è davvero questo il livello del dibattito al quale vogliamo partecipare e che siamo interessati a sostenere?
Sarebbe troppo semplice liquidare così l'appuntamento di sabato. Al netto della formula e persino del metodo (che mescola le nuove formule del marketing politico con le più classiche chiamate a raccolta dei partiti) ciò che andrebbe messo in risalto sono le motivazione che ne hanno fatto emergere - in Lorenzo Dellai, ma non solo... - l'esigenza.
di Michele Nardelli
(3 febbraio 2017) Mi passano davanti agli occhi molte immagini.
Trieste, piazza Unità d'Italia, in una mattina di febbraio del 2009. So che Predrag non dev'essere molto lontano perché il giorno precedente era qui per una conferenza e così lo chiamo sul suo cellulare italiano. Dopo un quarto d'ora stiamo conversando nel sole tiepido che inonda la piazza. Abbiamo un sacco di cose da raccontarci. Progetti, viaggi, libri... ma soprattutto sensazioni e immagini del lungo dopoguerra bosniaco. Quel paese dal quale se n'era andato con l'inizio della deflagrazione della Jugoslavia, nel 1991. Fra asilo ed esilio1, come amava dire, prima a Parigi e poi dal 1994 al 2008 a Roma, dove aveva ricevuto dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la cittadinanza onoraria. Perché quella guerra ormai finita da tempo l'avevano vinta i talebani di ogni nazionalità e l'ostracismo verso questo intellettuale un po' croato e un po' russo ma soprattutto cittadino europeo che durante e dopo la guerra non aveva mai smesso di rappresentare una spina nel fianco, era paradossalmente cresciuto, tanto da essere perseguito nel 2005 dal Tribunale di Zagabria che lo condannò a cinque mesi di carcere per il saggio intitolato “I nostri talebani”. Predrag mi annuncia l'uscita di un libro al quale sta lavorando da tempo, “Pane nostro”2. Io gli racconto dell'impegno istituzionale che almeno un po' mi costringerà a diradare la mia frequentazione balcanica ma che a breve avrebbe potuto aprire nuove opportunità di collaborazione con la presidenza del Forum trentino per la pace e i Diritti Umani. Porto nel cuore quel mattino, nella luce particolare di quella città e della sua splendida piazza.
Mentre guardo attonito le immagini che provengono da Gaza mi vengono in mente le parole con le quali Walter Benjamin descriveva il proprio tempo.
«C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta».