"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Mentre guardo attonito le immagini che provengono da Gaza mi vengono in mente le parole con le quali Walter Benjamin descriveva il proprio tempo.
«C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta».
(24 luglio 2014) Ho scritto, abbiamo scritto. Ho parlato, talvolta gridato. Ho manifestato, in tanti l'abbiamo fatto. Dell'ingiustizia, dell'indignazione, della rabbia.
Ho cercato di capire, provando a mettermi in ciascuna delle parti. Sono passato per “traditore”, concetto che ho espunto dal mio vocabolario. Nella rappresentazione del conflitto fra il bene e il male viene meno infatti la necessità della compromissione.
Ho affermato che le armi non avrebbero portato da nessuna parte, utili solo al prevalere del più forte. Passando per anima bella.
Ho cercato di costruire relazioni, dando alla cooperazione il significato di non perdere le tracce di una storia così profondamente radicata nell'ulivo e nella vite. Ho visto l'esercito israeliano tagliare ulivi millenari per cancellarla.
Ho provato a dire in tempi ormai remoti che il concetto di “due popoli, due stati” rappresentava una sconfitta culturale e che una delle componenti della tragedia era proprio l'affermarsi di stati et(n)ici. E che occorreva cambiare l'approccio, provando ad immaginare soluzioni che andassero oltre i paradigmi di un tempo che fatichiamo a metterci alle spalle...
Ciò che vedo in queste ore è esattamente l'opposto di quel che ho auspicato nel corso di una vita. Per questo rimango attonito, senza parole.
Mi viene un po' da sorridere al pensiero che in questo passaggio di tempo il mio impegno politico si traduce in attività formative e nella presentazione di libri. Non che questo mi dispiaccia, affatto. Semplicemente la mia vita è cambiata e non solo rispetto alla parentesi della scorsa legislatura ma perché è finito un ciclo nel quale abbiamo fatto diversa questa terra. ...
Ho invece preferito scegliere un profilo parallelo, quello di lavorare su tempi o modi che oggi appaiono estranei all'azione politica, nella convinzione che la sua crisi non sia quella che le nuove appartenenze post ideologiche tendono ad accreditare (il conflitto generazionale, la legalità, la meritocrazia...) bensì la difficoltà di modificare le nostre chiavi di lettura a fronte di un Novecento non ancora elaborato e di un presente che fatichiamo a decifrare...
di Michele Nardelli
(5 giugno 2014) Qualche giorno fa uno sceicco del Qatar, intervistato a proposito della compravendita dei voti per l'assegnazione dei mondiali del 2022 all'emirato, rispondeva mostrando il suo orologio d'oro ed affermando che anche quello era un regalo. Voleva dire che l'ingraziarsi il sostegno è cosa normale e che è sempre stato così.
Nell'ascoltare quell'intervista il sentimento che dominava i miei pensieri era lo stupore, mi chiedevo che idea potesse avere costui non dico verso l'uguaglianza degli esseri umani ma semplicemente verso lo stato di diritto.
Dopo la prima reazione, riflettendoci un attimo, ho dovuto amaramente riconoscere come la realtà corrisponde più al pensiero dello sceicco che non ai miei valori. In fondo, la cultura del favore o dello scambio (anche quello politico, che non è necessariamente reato) è profondamente radicata anche nelle nostre moderne democrazie, se solo pensiamo al potere delle grandi lobby economico finanziarie nell'indirizzare le scelte dei governi, il pensiero dell'opinione pubblica, la stessa società civile.
Non ho la sfera di cristallo, ma nei giorni scorsi a chi mi chiedeva un'opinione su quale avrebbe potuto essere l'esito del ballottaggio rispondevo mettendoli in guardia dalle sorprese. “Il voto al PD nelle elezioni europee (che si era trascinato quello delle amministrative) – dicevo – con la stessa velocità con cui è arrivato se ne andrà”. ...
Sono passati solo quindici giorni e l'esito dei ballottaggi ce ne ha dato una netta conferma, tanto nella scarsa affluenza alle urne, quanto nel rovesciamento del voto in città come Livorno, Perugia o Potenza che fino a due settimane fa attestavano il PD al doppio dei voti rispetto a chi avrebbe conteso il risultato finale nel ballottaggio e che sono andate al centrodestra. O per altro verso a Pavia dove il centrodestra era sicuro di vincere e invece il ballottaggio ha rovesciato l'esito della prima tornata.
(31 maggio 2014) Ha preso il via il Festival dell'economia. Il tema della nona edizione è di quelli cruciali: “Classi dirigenti, crescita e bene comune”. Un tema stimolante e di grande attualità, per una manifestazione che non smette di stupire per quante attese e attrazione di pubblico riesce a generare. E per una comunità che, a dispetto degli anni, continua a vivere il festival come un tratto di sé, della sua natura aperta, curiosa, coesa, che va ben oltre il “tutto esaurito” della ricettività alberghiera che ovviamente male non fa.
Viva il festival dell'economia, dunque. Eppure c'è qualcosa che non va. In questi nove anni le risposte che il festival ha dato sui grandi temi del nostro tempo sono sembrate piuttosto scontate, difficilmente hanno saputo scuotere il pensiero dominante, leggere con anticipo quel che sarebbe accaduto, indicare strade originali... come si dovrebbe richiedere ad un luogo di incontro e di pensiero.
Così il festival è diventato più una passerella prestigiosa di premi nobel, di protagonisti del pensiero economico, di personaggi che portano sulle loro spalle responsabilità politiche o di governo, di giornalisti... che un luogo di intuizione o di elaborazione.
Lo si evince anche dalla domanda, implicita nel titolo, che costringe la riflessione lungo uno scenario a mio avviso fuorviante: sono all'altezza le nostre classi dirigenti di rimettere in moto la crescita economica? Non è che per caso le nostre classi dirigenti (tanto della politica quanto della pubblica amministrazione) hanno costruito il loro sapere attorno a paradigmi che non reggono più?
... Eppure devo riconoscere a Matteo Renzi di aver saputo comprendere ed interpretare la paura, indicando una risposta diversa dal rancore. Se guardiamo all'esito delle elezioni nei paesi europei, nella colorazione simbolica così diversa da un paese all'altro, vediamo che si affermano proprio quelle proposte che hanno saputo interpretare in forme anche radicalmente diverse (Le Pen in Francia, Merkel in Germania, Tsipras in Grecia e Renzi in Italia...) questo sentimento che pervade l'Europa, la paura...