"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
di Federico Zappini
(23 gennaio 2016) Il 2016 sarà l’anno di Netflix, la società americana che offre servizi streaming on demand per la visione di film e serie tv. Presente (o in procinto di arrivare) in più di 190 paesi del mondo fonda il suo successo principalmente su due aspetti. L’accesso personalizzato all’offerta – appunto a richiesta – da un lato e, caratteristica tutt’altro che secondaria, l’alta qualità di ognuna delle proposte contenute nel suo corposo catalogo, in continuo aggiornamento. Netflix porta all’estremo la libertà di scelta per l’utente associandola alla scommessa su scritture originali, dai forti tratti di unicità. Un Festival economico – non potendo seguire fino in fondo una strategia on demand nel costruire il suo calendario di eventi – farebbe bene a concentrarsi maggiormente sulla capacità di mettere a punto la propria “sceneggiatura”.
Scrivo queste poche righe – prendendo spunto a piene mani dal mondo e dal vocabolario dei serial tv – nel giorno in cui viene svelato il titolo della prima puntata della seconda stagione del Festival più famoso di Trento. Seconda perché dopo dieci edizioni, festeggiate nel giugno scorso, era lecito aspettarsi che il comitato organizzatore sentisse il bisogno di rinfrescare un po’ lo show, lavorando su trama (contenuti), personaggi (ospiti) e format.
Uno dei grandi film, sulla shoah e non solo. Train de vie, 1999 del regista rumeno Radu Mihaileanu.
«..."Ridere è un altro modo di piangere" dice il regista, Radu Mihaileanu, la cui famiglia fu internata in un lager. Un dolore atavico il suo, un dolore che viene qua trasfigurato nella risata, ma non per questo sminuito. Nella vita è costante la compresenza di comico e tragico e l'invito pascoliano a cercare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima come due elementi inseparabili è poeticamente vero. Così il regista sceglie di raccontarci in altra forma la tragedia del suo popolo, in modo surreale e ironico, quasi a volerne dissacrare l'orrore. Lo fa ispirandosi all'universo onirico del concittadino Ionesco, al suo teatro dell'assurdo, i cui rimandi la critica ha intravisto, unanime, nel racconto di Mihaileanu, così come ha colto l'evidente richiamo al regista Ernest Lubitsch (ebreo dell'Est come lui) e al suo film "Vogliamo vivere", che nel '42 affrontava per primo in forma di commedia la tematica antinazista, irridendo la tragedia della Shoah...»
http://vk.com/video_ext.php?oid=225133802&id=166640866&hash=151f0c3e94a3c1c6&hd=1
Viviamo giorni drammatici, che ricordano i tempi del 1989, quando tutto cambiò con estrema rapidità. E vi sono inquietanti similitudini con il crollo della Jugoslavia. Un commento del corrispondente da Capodistria di Ossrevatorio Balcani Caucaso (www.balcanicaucaso.org)
(28 gennaio 2016) La sensazione di essere arrivati al capolinea oramai è netta. Le cose corrono veloci. Non accadevano con tanta rapidità dal 1989, quando a crollare era stato il muro di Berlino. Troppo inquietanti le similitudini con la caduta di un altro impero, quello jugoslavo, per evocarle. Ma l’inefficienza delle istituzioni europee, l’incapacità di prendere decisioni rapide e di gestire la crisi fanno tirare un sin troppo facile parallelo con la presidenza collegiale e il governo della federazione jugoslava.
Voglia di muri
Intanto, non senza un certo entusiasmo e con un ampio consenso popolare, cresce in tutto il continente la voglia di sicurezza e di barriere protettive. Chiudersi per difendersi da immani pericoli che potrebbero sconvolgere per sempre la tranquilla vita di ogni giorno. Una nuova cortina di ferro sta nascendo e si fa strada la consapevolezza che se il filo spinato dovesse essere sostituito da una struttura di cemento armato con tanto di torrette di guardia, nessuno si lamenterebbe più di tanto.
Se solo un anno fa qualcuno avesse ipotizzato che un reticolo sarebbe stata eretto ai confini o che sarebbero stati ripristinati i controlli di frontiera tra i paesi dell’Unione sarebbe stato preso per pazzo. Oppure nessuno avrebbe potuto credere che governi democratici avrebbero preso seriamente in considerazione l’ipotesi di sequestrare i beni dei profughi per pagare le loro spese di mantenimento.
di Francesco Picciotto *
(27 gennaio 2016) In questi giorni Gustavo Zagrebelsky ci ripropone una riflessione importante (dico ci ripropone perché la stessa, con qualche piccola variazione, era stata alla base di un suo intervento nel 2012 al Science & Democracy Forum).
Zagrebelsky articola il suo pensiero a partire dalla lettura di un testo che io apprezzo molto (Collasso: la scomparsa della civiltà) scritto da un autore che apprezzo moltissimo: Jared Diamond (la differenza fra molto e moltissimo sta nel fatto che il suo testo che apprezzo di più è “Armi, acciaio e malattie”).
In breve (per quanto sia possibile trattare in breve una tesi così articolata) Zagrebelsky afferma che ciò che è accaduto sull’Isola di Pasqua sia di fatto un “esperimento in vitro” di ciò che potrebbe accadere (e che forse sta già accadendo) sul nostro pianeta. Questa sua affermazione secondo me viene da una lettura un po’ troppo semplificata della teoria di Diamond (d’altra parte Zagrebelsky è un giurista e per quanto ne sappia anche l’unico in Italia che tenti, a partire dal suo campo, una sintesi interdisciplinare coraggiosa fra giurisprudenza, sociologia, antropologia ed ecologia) che nel suo mettere a confronto diverse “esperienze umane” in varie parti del mondo e in varie epoche, riconosce alla componente ambientale ed ecologica una responsabilità fondamentale nell’avvenuto collasso di alcune civiltà o nell’aver trovato, da parte di altre, una soluzione. Ma in uno con la componente ambientale ne riconosce, se non vado errato altre 11, che definiscono una vera e propria matrice che una volta applicata ci dice di più sulle ragioni di successo o di un successo di una civiltà all’interno del proprio contesto storico ed ambientale.
di Stefano Fait
(16 gennaio 2016) Stamattina, presso il Consiglio provinciale dell’Alto Adige, assieme ad altri membri dell’associazione politica e culturale (trentina) Territoriali#Europei, ho assistito alla riunione di lancio della Convenzione che avrà il compito di redigere la bozza di adeguamento e integrazione dello Statuto di autonomia della Provincia di Bolzano.
È stata presentata anche la piattaforma interattiva che permetterà ai cittadini di dare un proprio contributo al dibattito, a complemento del “Forum dei 100”, un’assemblea di cittadini scelti da un algoritmo in rappresentanza delle comunità che compongono la società altoatesina. Questo forum dovrà nominare otto componenti della Convenzione, su un totale di 33 membri (v. http://www.convenzione.bz.it/).
Nel cuore di Istanbul, dove la norma è vitale caos, il giorno dopo l'attentato a Sultanahmet regna un silenzio inquietante. Le conseguenze della bomba nel racconto del corrispondente di Osservatorio Balcani Caucaso
di Dimitri Bettoni *
(14 gennaio 2016) Camminare per le strade di Istanbul, lungo il lastricato di Sultanahmet, il giorno dopo. Vedere la città che cerca di ricominciare, pur ancora stordita, confusa, impaurita. Istanbul è mescolanza di odori, voci e colori, qui caos significa casa. Il vuoto ed il silenzio, invece, inquietano.
Mancano le code davanti a Santa Sofia e alla Basilica Cisterna, il frenetico andirivieni dei camerieri nei locali, manca persino l'assalto dei proprietari dei ristoranti, lo ammetto, solitamente quasi molesto, che provano a trascinarti ai loro tavoli. L'invito, se arriva, è apatico, sono molto di più gli occhi puntati verso le strade semivuote, le mani incrociate dietro la schiena, gli sguardi al cielo plumbeo che rotola sul Bosforo che ribolle.
Dall'album: "Da solo"
Testo e musica di Vinicio Capossela
«Vetri appannati d'America
e tutti se ne sono già andati
restano i bar vuoti, i cani e le strade
gli sgabelli, le corse e le puntate
lontano, lontano, lontano
vi scrivo da molto lontano
tra carni cadenti, stelle cadute e stellette
del cielo in terra e per terra
nel silenzio d'America
Marinai, soldati e i telefoni occupati
e non arrivo ancora a te
funerali e bande, bandiere e fanfare
d'America
sono Jim e sono unalcohol
sono John e sonooversize
e grazie Signore per il dono della sobrietà
per farmi accettare quel che non posso cambiare
per il coraggio di fare nell'unione d'anonimi
Dio salvi l'America