«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene

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Ma la famiglia naturale entra in crisi con Gesù
Manifestazione

(12 maggio 2016) La normativa sulle Unioni civili è da ieri legge dello Stato italiano. Con un voto a larga maggioranza la Camera dei Deputati ha approvato il testo licenziato dal Senato che pure aveva prodotto qualche strascico polemico per aver lasciato fuori le norme sulle adozioni. Si tratta di un passo importante, che pone fine ad una insopportabile discriminazione sia verso le coppie omosessuali che verso quelle di fatto. Non finiranno, invece, le polemiche considerato che attorno a questa normativa la destra populista – intravvedendo la possibilità di utilizzare il tema della famiglia come arma di scontro e di consenso politico elettorale – ha già annunciato ostruzionismo diffuso, obiezione di coscienza e una propria iniziativa referendaria. Il ritorno ad una contrapposizione fra credenti e laici non mi sembra affatto uno scenario desiderabile, con l'effetto di imbarbarire ancora di più un clima politico già oltremodo degradato. In questo senso ho trovato di grande valore l'intervento di Massimo Cacciari, apparso nelle scorse settimane sulla rubrica “Parole nel vuoto” del settimanale “L'Espresso”, che ho pensato di riprendere. (m.n.)

 

di Massimo Cacciari

Accade, di rado fortunatamente, che la politica e l’attività legislativa si imbattano in problemi di straordinaria complessità storica e culturale. Sarebbe certo, allora, auspicabile il massimamente improbabile, e cioè una certa consapevolezza che le questioni che si affrontano investono forme di vita e di civiltà, mutamenti di portata antropologica e non qualche moda passeggera.

È il caso degli attuali dibattiti, più o meno piazzaioli, sulle unioni civili, tema che assume il proprio significato soltanto se inserito nel drammatico contesto del rapporto attuale tra scienza-tecnica, politica e vita. Discutere di un aspetto di tale relazione astraendo dagli altri e dall’intero è la follia che ci condurrà ciechi e inconsapevoli chissà dove.

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Sarajevo. Vent'anni dopo l'assedio la pace è un lungo dopoguerra
Sarajevo, dopoguerra

 

Il 18 marzo 1996 finiva l’attacco alla capitale bosniaca che durava da oltre mille giorni Ecco cosa resta del conflitto che ha cambiato il volto dell’Europa (da www.dirittiglobali.it)

di Paolo Rumiz

(18 marzo 2016) Quattro Bmw nere ultimo modello con vetri affumicati arrivano sgommando davanti a un ristorante sulla strada fra Tuzla e Sarajevo. Ne escono dieci uomini con giubbotto antiprotettile e pistole nelle fondine, seguiti da civili e qualche valigetta 24ore. L’ultimo ad aprire la portiera è un uomo in giacca e cravatta, faccia rubiconda. Entra senza salutare con la scorta, nella locanda si fa silenzio. Consuma agnello arrosto, patate. Beve un bicchiere di yogurt misto ad acqua, poi butta sul tavolo una manciata di euro spiegazzati e se ne va, seguito dai guardiaspalle. Non è un boss. È un ministro. E la gente dice che è cosa normale. La Bosnia è in mano alla mafia, mentre il popolo è alla fame.

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Rifugiati: il muro macedone
confine fra Grecia e Macedonia

La solitudine in cui viene abbandonata la Grecia è solo il più recente segnale dello smarrimento dell'Europa nella gestione della crisi dei rifugiati (da www.balcanicaucaso.org)

(4 marzo 2016) Le nuove procedure introdotte lungo la rotta balcanica stanno comportando nei fatti la progressiva chiusura della rotta stessa. È quanto si evince dagli eventi degli ultimi giorni al confine di Idomeni, e dalle segnalazioni dei volontari lungo tutte le tappe del percorso che, fino a pochi giorni fa, permetteva ai profughi di raggiungere la Germania dalla Grecia.

Le limitazioni degli accessi sulla rotta balcanica stanno avvenendo in violazione di ogni normativa internazionale sul diritto d'asilo, come già denunciato dall'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Le persone sono selezionate in base alla nazionalità e ad altri criteri stabiliti unilateralmente da alcuni governi della regione, e non sulla base dell'analisi dei singoli casi.

 

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Gianmaria Testa è volato via. Semplicemente grazie per quello che ci hai regalato
Gianmaria-Testa

«Gianmaria se n'è andato senza fare rumore. Restano le sue canzoni, le sue parole. Resta il suo essere stato uomo dritto, padre, figlio, marito, fratello, amico». Dalla pagina fb di Gianmaria Testa di stamane.

 

Questo era Gianmaria Testa...

https://www.youtube.com/watch?v=yaIrRC_4zaw&feature=player_embedded

 

Ritals

Eppure lo sapevamo anche noi
l'odore delle stive
l'amaro del partire
Lo sapevamo anche noi
e una lingua da disimparare
e un'altra da imparare in fretta
prima della bicicletta

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Il Rapporto 2015-2016 di Amnesty International
Palestina

Il Rapporto 2015-2016 di Amnesty International documenta la situazione dei diritti umani in 160 paesi e territori durante il 2015.

(24 febbraio 2016) In molte parti del mondo, un notevole numero di rifugiati si è messo in cammino per sfuggire a conflitti e repressione. La tortura e altri maltrattamenti da un lato e la mancata tutela dei diritti sessuali e riproduttivi dall’altro sono stati due grandi fonti di preoccupazione. La sorveglianza da parte dei governi e la cultura dell’impunità hanno continuato a negare a molte persone i loro diritti.

 

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Brennero e il senso del limite da ritrovare
Confini

 

di Federico Zappini *

(27 febbraio 2016) In molti hanno detto la loro sabato scorso al  Brennero. Silvano Bert – con la consueta pacatezza – ha saputo centrare meglio di tutti la questione. “Non credo che i confini si possano abolire, perchè confine può voler dire anche avere un territorio in comune. Io sono qui per favorire il dialogo.” Le sue parole sono un monito, un avvertimento per un dibattito che, nato dentro i codici emergenziali imposti del contesto politico e sociale di questo tempo, si pretende (a torto) di poter risolvere con interventi anch’essi di natura emergenziale. Alzare solidi muri da un lato, rivendicare l’abbattimento di ogni limite dall’altro. Due letture eccessivamente semplificate, che non ci aiutano nella comprensione di una fase storica di rara complessità come quella che stiamo affrontando.

La corsa degli Stati europei a costruire barriere “anti-profughi” sulle proprie linee di confine, il costante richiamo a sovranità da riaffermare (nel caso Brexit, un pericoloso precedente), l’assenza di visione comune su qualsiasi tema sono sintomi di un malessere che non ha più le caratteristiche della difficoltà passeggera ma della crisi strutturale, di progetto e di valori. L’Europa diventa quindi automaticamente soggetto terzo da sé con il quale trattare per la difesa dei propri interessi o – nel peggiore dei casi – contro il quale scagliarsi per denunciarne l’inefficienza o l’inutilità, diagnosticandone la fine. “Gli anni spensierati sono alle spalle” afferma in una bella lettera Andrea Seibel, descivendo l’attuale stato dell’Unione.

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Immigrazione. Come uscire da un dibattito saturo?
Foto di Luigi Ottani

 

Queste alcune riflessioni a margine dell’incontro pubblico dal titolo “Frontiere, confini, migrazioni, cittadinanze” alla presenza dell’Onorevole Cecile Kyenge. Nella stessa giornata è stato presentato il Progetto di relazione di cui l’on. Kyenge è relatrice presso il Parlamento Europeo.

di Federico Zappini

(15 marzo 2016) La quantità di informazioni e immagini che quotidianamente ci arrivano dai fronti più caldi delle rotte migratorie finisce per travolgere ogni tentativo di fermarsi a riflettere a fondo sui fenomeni che telecamere inquadrano e taccuini appuntano. Fatichiamo ad andare oltre la cronaca, il dibattito politico e pubblico appare saturo. Film, documentari e inchieste (sempre più numerosi e premiati) costituiscono una fondamentale offerta per la conoscenza. Il tempo dedicato all’osservazione – più o meno attenta, più o meno consapevole, più o meno spettacolarizzita – rischia di fagocitare lo spazio dell’analisi e della comprensione profonda. Di pari passo il profluvio di discussioni – dalle trattative in sede europea ai “confronti” ospitati dai talk show – si muove dentro lo schizofrenico racconto di un’emergenza che non possiede più le caratteristiche (se mai le ha avute) per essere interpretata e affrontata come tale. Se così si può dire, stupisce che ci si stupisca che milioni di persone – con trend in ulteriore crescita – tentino di muoversi da un punto all’altra del pianeta nel legittimo tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita.

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