"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

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Mezzo pieno o mezzo vuoto? Il bicchiere di Parigi e il rapporto del Club di Roma
Dal film di Kubrik

di Michele Nardelli

(17 dicembre 2015) Come giudicare l'accordo di Parigi sul clima? Il confronto che si è aperto dopo la conclusione unanime della Conferenza mondiale delle Nazioni Unite ruota attorno al dilemma di sempre: il bicchiere lo dobbiamo vedere mezzo pieno o mezzo vuoto?

Le risposte, come si può immaginare, spaziano dall'ottimismo al pessimismo a seconda della lettura che se ne fa o, forse meglio, a partire dal proprio posizionarsi verso le cose del mondo. Entrambe legittime, per carità.

Perché se la conferenza sul clima non si fosse nemmeno tenuta le cose non sarebbero certo migliori e il fatto che i rappresentanti di 190 paesi si siano riuniti a discutere di come far fronte al surriscaldamento della Terra ha se non altro reso palese la gravità della situazione, “ultima occasione prima del disastro” è stato detto. Aspetto, non di poco conto, considerato che per decenni l'allarme lanciato nell'ormai lontano 1972 dal primo rapporto su “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma nemmeno veniva preso in considerazione, tacciato come catastrofismo.

Limits to Growth: The 30-Year Update

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Las simples cosas
Chavela Vargas con Frida Kahlo

Chavela Vargas, cantante e musicista messicana, interpreta "Las simples cosas" (che Vinicio Capossela ha cantato in italiano in uno dei suoi ultimi album)

https://www.youtube.com/watch?v=z1xWGgmV9TY&feature=player_detailpage

“Uno si separa insensibilmente
dalle piccole cose
come fan le foglie
che in tempo d’autunno
lasciano nudo il ramo
e infine la tristezza
è la morte lenta
delle semplici cose
queste semplici cose
che cadon dolendo
sul fondo del cuore

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Rispondere al terrorismo con la vita
Adel Jabbar

Mi sembra utile riprendere l'intervista ad Adel Jabbar sui fatti di Parigi e dintorni pubblicata sul sito www.salto.bz

 
di Sarah Franzosini

salto.bz: Jabbar, guardando agli attentati di Parigi e alle ultime notizie arrivate da Hannover dove ieri sera è stato evacuato lo stadio per un allarme bomba, sembrerebbe confermarsi la tesi che il terrorismo abbia preso di mira la musica, lo sport, la quotidianità, insomma. La domanda più urgente è: come si reagisce?

Adel Jabbar: È una domanda difficile, ciò che caratterizza oggi la vita di molte popolazioni del mondo è la violenza e le sue conseguenze: il dolore, la paura, l’odio, la morte. Come giustamente affermato da Papa Francesco siamo di fronte a una terza guerra mondiale che è diversa da tutte quelle che si sono susseguite finora. In questo tipo di conflitto non ci sono trincee, non ci sono eserciti o le classiche strategie militari, ma c’è l’intenzione di diffondere questo terrore fra i civili e colpire quindi la loro quotidianità. E a livello mondiale bisognerebbe prendere coscienza di tale evidenza, tenendo conto inoltre che sono morti ortodossi, cristiani, musulmani in seguito agli ultimi atti terroristici nel mondo, da Beirut, alla Turchia, alla Siria. Questo terrorismo non guarda in faccia alcuna religione, confessione o gruppo linguistico.

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Morin: «La guerra del Medio Oriente è arrivata da noi»
La sala di Rimini gremita

Riccardo Mazzeo mi scrive: "Cinquemila persone per Bauman e Morin al convegno Erickson di Rimini". Complimenti a Riccardo e alla Erickson. Qualche segno di speranza, in questo mondo che si sta sempre più imbarbarendo.

 

"La guerra del Medio Oriente è arrivata a Parigi e adesso non possiamo fare una guerra normale ... L'unico modo per lottare contro questa guerra è di imporre la pace in Medio Oriente. Si tratta di fare una conferenza con tutti paesi interessati, la parola passa ai governi. Abbiamo alimentato tutti la guerra in Medio Oriente ora la questione è di fare il contrario, non alimentare la guerra ma di imporre la pace".

Dall'intervista al filosofo Edgar Morin rilasciata a Radio 24 ai margini dell'annuale Convegno sulla Qualità dell'integrazione scolastica e sociale che aveva come titolo "L'educazione al tempo delle migrazioni".

Un anno migliore
Brittany Morgan

(31 dicembre 2015) L'anno che se ne va, a pensarci bene, non è stato un granché, anzi possiamo dire senza essere presi per gufi – peraltro animali considerati nell'antichità saggi ed eruditi – davvero pessimo.

C'è in corso una guerra mondiale, se non ce ne siamo accorti. Che non è l'insieme delle tante piccole guerre che si combattono nel mondo in forma più o meno tradizionale, ma una guerra di tipo nuovo nella quale ciascuno di noi è coinvolto, vittima e carnefice in un mondo che si contende la difesa del proprio spazio vitale immaginato in sottrazione verso l'altro da sé e che si combatte nel nome di stili di vita considerati non negoziabili.

Non è iniziata nell'anno che ci stiamo mettendo alle spalle – per la verità – ma forse è in questo tempo che si è andata palesando in forma più acuta attraverso le sembianze delle carrette del mare, dei cambiamenti climatici, dell'overshoot day, della scomparsa delle biodiversità, dell'esclusione sociale e di uno “scontro di civiltà” tanto evocato da farlo inverare. E del cinismo, prima ancora che della violenza e del terrorismo.

Di nuovo e positivo c'è che queste cose non sono più la narrazione inascoltata di chi ritiene necessario un cambio profondo di paradigma ma anche di qualcuno che, dall'alto della sua autorevolezza, lo ripete quasi ossessivamente, forse temendo anch'egli di non essere preso sul serio o semplicemente che il veleno sia entrato fin troppo in profondità.

Dopo la fine di una storia di cui pure dovremo prendere atto magari facendone tesoro, occorre darsi il tempo per costruirne una nuova, meglio al plurale per non essere cieca, meglio capace di prudenza per non spingerci oltre il limite, meglio consapevole dei caratteri umani per evitare nuovi fantasmi.

Ecco, per l'anno che viene mi basterebbe che questa nuova consapevolezza potesse crescere e che la politica non continuasse ad esserne estranea.

 

territoriali#europei, road map per un'associazione politico-culturale
Polena

(21 dicembre 2015) Si è svolta domenica sera l'assemblea dell'associazione "territoriali#europei". Ad un anno dalla sua nascita, l'associazione prova un bilancio ma soprattutto cerca di indicare un proprio percorso attento ma non condizionato dall'agenda della politica, esigente sul piano culturale a fronte di un vuoto di elaborazione in un contesto che richiede invece nuovi paradigmi, autonomo dai partiti e ciò non di meno fortemente politico. Lo fa attraverso un documento che qui presentiamo e che i partecipanti all'assemblea hanno fortemente condiviso.

L'associazione territoriali#europei nasce, nemmeno un anno fa, sulla spinta di una preoccupata lettura della difficile condizione della coalizione di centrosinistra a livello territoriale e più in generale dell'intera architettura autonomistica della Provincia di Trento. Non mancava allora un necessario riferimento alla crisi, non passeggera, della rappresentanza e di tutti quei luoghi che dovrebbero essere deputati alla formazione, all'approfondimento e al confronto, oltre che catalizzatori dell'attivazione politica. Il nome dell'associazione descrive efficacemente le coordinate geografiche – variabili, comunicanti e mai alternative – che stanno alla base del motivo che ha portato alla sua formazione e che ne determina automaticamente ambiti d’interesse, sfide organizzative, orizzonti politico-culturali.

 

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#porteouverte, di porte aperte e finestre rotte
da Catarsi di Luz

 

di Federico Zappini

(15 novembre 2015) Non ho soluzioni da proporre. Parto da questo basilare e non consolatorio grado di consapevolezza. Altrimenti lavorerei come titolista dentro qualche redazione che ha scelto, non è una novità, di interpretare il ruolo di strillone sguaiato dello scontro di civiltà. Oppure mi sarei scatenato, via Twitter, in quella che è stata per ore la sfida a chi la sparava più grossa. Chi rilanciando l’ipotesi di un false flag, chi quella di una nascente resistenza antifascista che dalla città curda di Kobane si allarghi all’Europa intera, chi immaginando di ridurre “la Siria ad un parcheggio” (quasi cit. della serie tv Homeland) in nome della difesa della nostra civiltà sotto attacco.

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