«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
Sarajevo ricorda oggi il centenario dell'attentato che cambiò la storia europea, innescando la crisi diplomatica che portò all'inizio della Prima Guerra Mondiale
Questo articolo viene pubblicato oggi da Osservatorio Balcani Caucaso e dai quotidiani Trentino e Alto Adige
di Andrea Rossini
(28 giugno 2014) Cento anni fa l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico, era partito di buon mattino da Ilidža, sobborgo termale di Sarajevo, per recarsi nel centro della città che da pochi anni era stata annessa all'Impero Austro Ungarico. Insieme a lui c'era la moglie Sofia.
Lungo tutto il percorso, in particolare nel tratto finale, lungo le rive della Miljacka, c'erano gli attentatori. La prima bomba non esplose. Poi Nedeljko Čabrinović lanciò la sua, che però rimbalzò sul tettuccio della vettura imperiale finendo lontana.
L'arciduca decise di continuare il suo percorso fino alla sede del Municipio, per poi riprendere il tragitto con la moglie fino all'incontro fatale con Gavrilo Princip, un giovane serbo bosniaco che apparteneva all'organizzazione rivoluzionaria “Mlada Bosna”, Giovane Bosnia.
"Ritorno nei Balcani", la seconda puntata
(Agosto 2014) Amo prendere il caffè al Morića Han, nella Baščaršija, il cuore ottomano di Sarajevo. Venne realizzato nel 1531 da Gazi Husrev-beg come parte integrante del progetto che, insieme alla moschea, alla madrasa (la scuola coranica) e alla mensa per la gente povera, costituì una sorta di atto fondativo della città di Sarajevo. In origine era un caravanserraglio, luogo di accoglienza per i viaggiatori ai quali non si negava mai il pane, l'acqua ed un giaciglio. Antiche civiltà, quando l'ospite era sacro e lo straniero il benvenuto.
Ora nessuno sembra accorgersi delle persone che chiedono l'elemosina nelle strade, men che meno di quelle che per dignità o vergogna si arrabattano con quel poco che hanno. Nemmeno negli anni immediatamente successivi alla guerra era così. Mi colpisce la diffusione della povertà delle persone anziane che spesso si trovano a dover fare i conti con una pensione di centocinquanta marchi convertibili (pressapoco settantacinque euro) o anche meno, sempre che lo Stato di cui sono cittadini riconosca loro qualcosa (visto che quello nel quale hanno versato i contributi non esiste più...).
Con un po' di pudore osservo una persona anziana guardare la frutta in una bancarella ed il suo commentare sconsolato di prezzi che se immaginati in un mercato di casa nostra sarebbero stracciati e che invece, rapportati al reddito di qui, possono risultare inaccessibili. L'abito mi racconta di un passato diverso e dignitoso, che la duplice tragedia della guerra e della dissoluzione del paese di cui era parte (e sul quale aveva investito certamente una parte della sua esistenza) ha cancellato.
Una visione europea non può prescindere da un cambio di prospettiva anche sul piano della sicurezza e della difesa. I ventotto paesi dell'Unione Europea spendono complessivamente non meno di 260 miliardi di euro ogni anno per il loro apparato militare. E' una cifra enorme che corrisponde ad altrettanti eserciti nazionali tanto più anacronistici, quanto inutili e pericolosi. E, ciò non di meno, capaci di alimentare altrettante lobby politico affaristiche che attorno all'industria della guerra coltivano il loro spazio di potere.
(26 maggio 2014) Nonostante il vento che soffia forte nei paesi del vecchio continente, il progetto dell'Europa politica non esce sconfitto dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo di domenica. E questo grazie in particolare al voto italiano ed allo straordinario risultato del Partito Democratico.
L'astensione dal voto che avrebbe incrinato l'autorevolezza del Parlamento europeo è stata contenuta superando la soglia della partecipazione delle elezioni del 2009; nonostante l'effetto Le Pen in Francia il peso complessivo dei partiti antieuropei non è cresciuto di quanto si temeva; l'influenza della Merkel e dei partiti conservatori risulta più bilanciata rispetto a cinque anni fa.
Se la Macroregione Adriatico-ionica vuole essere una strategia per il rilancio di una regione ai margini, il dialogo tra apparati politico-amministrativi non può bastare. Serve un ampio dibattito pubblico per dare stimolo all'azione politica su questioni urgenti e di comune interesse. Un approfondimento dal sito www.balcanicaucaso.org
di Luisa Chiodi *
A luglio prende avvio il semestre italiano di presidenza dell'Ue durante il quale verrà lanciata dalle istituzioni europee la Strategia Europea per la Macro-regione Adriatico-ionica (Eusair). Per tutti i territori coinvolti si tratta di un'opportunità significativa per affrontare insieme nodi comuni che spaziano dalla tutela ambientale allo sviluppo delle reti energetiche ma soprattutto per lavorare al complessivo rilancio economico della regione.
La Macroregione è uno strumento comunitario nato meno di 5 anni fa, con il primo esperimento nel Mar Baltico, allo scopo di favorire la partecipazione al processo decisionale non solo degli stati ma anche di regioni, enti locali, società civile, in aree circoscritte dello spazio europeo.
Del resto, dalla fine della Guerra Fredda questioni quali la sostenibilità ambientale o energetica, la migrazione, lo sviluppo economico, hanno continuato a stimolare l'interesse degli enti locali a farsi protagonisti di iniziative transnazionali per affrontare in modo efficace questioni condivise.
Un intellettuale che guardando al Mediterraneo ha sempre cercato di superare le divisioni e i conflitti mutandoli in ragioni di convivenza, arricchimento, scambio. Pubblichiamo la lettera diffusa dal comitato che sostiene la candidatura al Nobel di Predrag Matvejević. Un appello che vede anche la mia adesione.
(marzo 2016) La seguente lettera è stata diffusa dal comitato che sostiene la candidatura di Predrag Matvejević al Nobel per la letteratura. Un modo per sostenerlo in questo suo difficile momento di salute - è da più di un anno ricoverato in un ospedale di Zagabria - ma soprattutto per far sentire la voce delle sue opere e dei suoi pensieri in questi giorni drammatici per quel Mediterraneo che lui ha tanto amato.
“Predrag Matvejević è la sintesi dell'Europa, anche dell'Est, che si riconosce nel Mediterraneo e nella sua storia: nella sua vita, nella sua famiglia, nella sua opera letteraria e politico-letteraria, ai tempi della cortina di ferro, si ritrovano quasi tutte le etnie, le religioni, le nazionalità e le culture che oggi come ieri, qualcuno vuole trasformare in ragione di conflitto. Tutta l'opera di Matvejević, ma in particolare il suo impareggiabile Breviario Mediterraneo, ripercorre quelle differenze presunte, mostrandone, come forse nessuno ha fatto, oltre lui e Braudel, quanto siano nostre, di tutti; mutandole, così, in ragioni di convivenza, arricchimento, scambio.
Eurovisioni. L'indignazione, il rebetiko e una nuova idea di contratto sociale
L'Europa non è il problema, bensì la chiave per affrontare un nuovo contesto.
Trento - 30 aprile, 1, 2, 3 maggio 2014
Il disegno di un'Europa politica sta vivendo un forte appannamento. Le sue istituzioni sono viste da molti come un apparato burocratico ed un insieme di regole dettate dai poteri finanziari. Il suo allargamento è stato spesso vissuto dai cittadini dei paesi più forti come un'insidia al proprio status piuttosto che la costruzione di una casa comune. Gli stati nazionali cavalcano l'onda della paura per evitare di cedere verso l'Europa (e verso i territori) quote crescenti di sovranità. La politica si attarda a cercare soluzioni a carattere nazionale, quando invece la cifra dei problemi appare sempre più di natura sovranazionale e territoriale.
Il problema sembra essere quello di tutelare al meglio gli interessi nazionali in Europa, ma così facendo non si costruisce l'Europa come soggettività politica, sociale e culturale, la si indebolisce piuttosto. Questo è l'orizzonte nel quale gli stati nazionali più forti ripropongono la loro leadership sull'Europa e questo, a guardar bene, ci racconta di quanto poco si sia fatto tesoro delle lezioni del Novecento. Tanto che l'idea di un'Europa politica nasce come progetto di pace, nel superamento in senso federalista degli stati nazionali e della loro tendenza all'egemonismo.